“Rocky” Belinelli con super Joel nella città che venera gli Eagles

PHILADELPHIA. Da Joel Embiid, erede in pectore dell’indimenticabile Wilt Chamberlain, al neoacquisto Marco Belinelli, dall’amore sconfinato per gli Eagles, freschi campioni Nfl, alla passione per il basket di college dove si fondono tradizione, cultura e divertimento. È un momento magico per lo sport a Philadelphia.
Partiamo dai 76ers, squadra emergente dell’Nba soprattutto grazie a Embiid. Stagione da 24 punti e 11 rimbalzi di media per il 23enne camerunense che abbiamo visto dal vivo due volte al Wells Fargo (vittorie contro Hornets e Clippers), quello che ormai è il “suo” palcoscenico. Ha saltato le prime due stagioni per infortunio ma ora è devastante: un mix tra Shaq, Olajuwon e, appunto, quel Wilt Chamberlain nato e cresciuto nel “vivaio” della città dell’amore fraterno, tuttora considerato il più dominante pivot della storia.
Joel, piedi da ballerino, tecnica (anche eccellente tiratore) e strapotenza fisica: 213 centimetri per 125 chili di muscoli. Idolo indiscusso del pubblico, estroso, scanzonato, ma anche “cattivo” il giusto, senza disdegnare provocazioni e scontri verbali. Ecco che sorprende, allora, quando negli spogliato ci saluta mostrando un sorriso quasi timido, dandoci la mano e ringraziando per i complimenti. A presentarci a Embiid è un monumento vivente al quale ci siamo rivolti poco prima con la deferenza che si deve al “Dalai Lama” del basket philadelphiano: il venerabile Sonny Hill, 82 anni (ne dimostra almeno 20 di meno), ex giocatore e organizzatore da mezzo secolo della più importante summer league d’America. Maestro di vita e di basket, che ha contribuito con il suo impegno educativo a tenere lontane dalla strada generazioni di giovani. E soprattutto è stato il mentore dei grandi di Phila. Ora anche Embiid lo considera un punto di riferimento dal quale attingere sapienza cestistica. «Certo, Wilt era un mostro di fisicità – ci dice Hill – e lo stile di Joel è più “gentile”, ma non ho mai visto un giocatore apprendere e progredire così rapidamente. Ha mani e cervello perfetti per il basket. E sta imparando a giocare anche in modo più fisico».
Tocca a Joel che ammette di «sentirsi alla grande, offensivamente abbiamo fatto bene ma è dalla difesa che parte tutto. E poi adoro giocare davanti a questo pubblico». Tifosi in estasi anche per il play 21enne di quasi 210 centimetri Ben Simmons in cui in molti intravedono la reincarnazione di Magic Johnson. Non stupisce che il Beli abbia scelto proprio Phila dopo aver rescisso con Atlanta: «Ho voluto fortemente far parte di questo gruppo» è il concetto ribadito dall’azzurro dopo l’arrivo nella città di Rocky Balboa, che forse era davvero nel suo destino considerata l’indubbia somiglianza con Stallone che aveva tanto divertito gli americani ai tempi dell’esordio in Nba.
Oggi, peraltro, Philadelphia vuol dire soprattutto Eagles. I manifesti che celebrano la vittoria al Superbowl spuntano ovunque in una città ancora ubriaca per i festeggiamenti che hanno richiamato nelle strade 800 mila persone. E poi c’è il college basket. Assistere a una partita dell’università di Villanova, i Wildcats campioni nazionali nel 2016, è un’esperienza imperdibile e –possiamo confermarlo – indimenticabile. Contro Butler, rivale tutt’altro che d’élite, Wells Fargo come sempre tutto esaurito. Fin dalla prima mattinata migliaia di studenti campeggiavano nel parcheggio tra musica, grigliate e birra. Un clima di festa irresistibile, e poi sul parquet abbiamo visto anche ottimo basket giocato con intelligenza, disciplina, intensità difensiva, pensando prima alla squadra che al nome scritto sulla maglia. In perfetto Philadelphia style. (pi.ta.)
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