Pellizotti fa festa nel giorno rosa di Menchov

dall’inviato
Antonio Simeoli

ROMA.
Podio doveva essere e podio è stato all’ombra del Colosseo. Franco Pellizotti si è piazzato terzo al Giro d’Italia, nell’edizione più importante degli ultimi anni, quella del Centenario. Quella vinta ieri dal russo Menchov davanti a Di Luca. In cento anni di storia mai nessun friulano era salito così in alto. Ci era riuscito solo il grande Giordano Cottur, triestino doc però.


Ora la lacuna è stata colmata da Franco Pellizotti. I genitori carnici, mamma Liliana e papà Giacomo, gli hanno trasmesso una qualità tipica per quell’angolo di Friuli: la caparbietà. Alla classe ci aveva pensato invece madre natura. Esattamente un anno fa Pellizotti aveva perso il podio a Milano per due, maledetti, secondi. Ma non si è abbattuto, ha puntato dritto al Giro del Centenario, anche quando la squadra gli ha affiancato un atleta ingombrante come Basso, e ha cominciato a preparare la riscossa.


Ieri si è concretizzata nella Città eterna, inedita e spettacolare meta finale della corsa, dopo un Giro corso con tanti acuti (San Martino di Castrozza, Pinerolo, cronometro delle Cinque terre, trionfo del Blockhaus, Vesuvio) e poche flessioni (Alpe di Siusi e Monte Petrano). Ieri per lui solo ordinaria amministrazione, con qualche patema legato alla pioggia che, proprio nelle fasi decisive, ha deciso di regalare l’ultima suspance del Giro.


Il 31enne corridore Liquigas, però, era troppo concentrato per fallire. Ha seguito un paio d’ore prima del via in ammiraglia la prova del compagno di squadra Quinziato per mandare a memoria il percorso. Fori imperiali, via Nazionale, galleria sotto il Quirinale, via Veneto, via di Trinità dei monti, piazza del Popolo, via della Conciliazione, via del Corso, via del teatro Marcello, Colosseo. Un percorso da favola, l’ideale teatro per la conquista del tanto sognato podio al Giro, deve aver pensato Pellizotti guardando fuori dal finestrino.


E solo una nuvolaccia nera, che un’ora prima della sua partenza si è affacciata sul Palatino, ha rischiato di fargli perdere la tranquillità. Proprio infatti quando l’atleta friulano stava completando il riscaldamento sui rulli, nei pressi del pullman Liquigas, cercando la concentrazione con la musica dell’amato Vasco, quella nuvola spinta dal mare è comparsa. Allarme rosso. Roma vuol dire “sanpietrini”, saponette con la pioggia. Così per i meccanici è suonato il campanello d’allarme anche perché dalla corsa, nel frattempo, giungevano notizie poco rassicuranti.


I protagonisti di giornata più attesi (Bruseghin, Pinotti, Rogers, Leipheimer), infatti, non riuscivano a battere il miglior tempo fatto segnare dal carneade Ignatas Konovalovas, giovane lituano, forte contro il tempo, ma non certo tra i favoriti alla vigilia. Lui aveva corso con il sole. Gli altri hanno dovuto fare i conti con la pioggia caduta a intermittenza nelle ultime due ore di gara. Qualcuno, gli uomini fuori classifica, ha allora tirato di brutto i freni, altri, come il nostro Pellizotti, hanno dato tutto nei tratti rettilinei, tenendo gli occhi bene aperti in curva.


Alla fine per il friulano 14,4 km percorsi in 19’22", a 40" dal lituano. Missione compiuta con, tra l’altro, altri 86 secondi rifilati a Carlos Sastre, il più immediato inseguitore. E mentre Pellizotti ai piedi del podio abbracciava la moglie e i due bimbi, il Giro del centenario regalava l’ultimo colpo di scena, sempre grazie a quei sanpietrini e a quella nuvolaccia: alleati insperati per Di Luca. L’abruzzese, infatti, si è ricordato che a separarlo in classifica dalla maglia rosa c’erano pur sempre solo 20" e si è catapultato dalla pedana aggredendo le curve a dispetto del pericolo. Cinque secondi recuperati nei primi tre minuti.


Poi la classe di Menchov a cronometro è uscita allo scoperto e l’abruzzese ha messo nel cassetto gli improvvisi sogni di rimonta. Fino al colpo di scena. In un tratto rettilineo, quando già gli archi del Colosseo incombevano sulla maglia rosa, Menchov ha perso il controllo della bici finendo a terra. Folla all’arrivo in delirio (compresa, ahinoi, la maggior parte di addetti ai lavori e giornalisti italiani), ma solo per un attimo. Il tempo di vedere il russo rialzarsi, inforcare la nuova bici e tagliare il traguardo.


Trionfo meritato il suo, capace di nobilitare ancor di più il podio di Franco Pellizotti, quello che ha riscritto la storia del ciclismo friulano.

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