Parla Michele Mian, il filosofo dei canestri
Lo storico capitano: «Alleno gli Under 13. Il derby Udine-Cividale? No, io non seguo più la serie A». A “Leggermente” a San Daniele si racconta oltre le imprese sui parquet

Capitano (perché per chi scrive lui sarà sempre l’ultimo capitano di Gorizia in serie A) come hai visto il derby domenica?
«Quale derby?»
Ma come: Udine-Cividale, Old Wild West-Gesteco, Vertemati contro Pillastrini.
«Non ne so niente. Non sapevo ci fosse il derby, non seguo la pallacanestro di serie A».
Chi avrà questa sera alle 21 al Cinema Splendor di San Daniele, nell’ambito della rassegna Leggermente, la fortuna di assistere al dialogo tra Paolo Patui e Michele Mian, tornando a casa non si stupirà di questa risposta. Perchè Mian, il vecchio alpino come lo chiamava l’indimenticato Franco Lauro nelle telecronache, il “barba” è così. Un filosofo, per giunta marxista, del basket.
Micky, non segui la serie A ma alleni. Contento?
«Di più, strafelice. Da dieci anni ho la scuola basket a Udine, prima si chiamava Micky Mian ora SBaMM, coordinavo l’attività ma non allenavo. Quest’estate, dopo anni di dubbi, mi sono deciso a fare il corso e mi sono pure divertito».
Perché dubbi?
«L’ultima mia stagione da professionista risaliva al 2011 e così pensavo di sentirmi un pesce fuor d’acqua, invece mi sono ritrovato presto in quello che era stato il mio mondo 30 anni. Insomma, ho capito che di pallacanestro ne mastico ancora».
Beh, quasi vent’anni in serie A, un oro europeo, un argento olimpico…
«Io alleno la formazione Under 13 e vi assicuro che è impegnativo. Non è come giocare. Per fortuna mi fa da tutor un grande come Giovanni Grattoni. Ci stiamo divertendo un sacco e vediamo anche che, allenamento dopo allenamento, riusciamo a trasmettere la nostra filosofia».
Quale?
«Giocare di corsa, molto aggressivi, con entusiasmo e di squadra. Concetti che per me vengono prima della tecnica».
Differenze rispetto a quando tu giocavi negli under 13?
«Una, enorme: io ero realmente molto più scarso dei miei giocatori di adesso. Ma sono sempre stato anche da piccolo un grande agonista».
Non fare il modesto capitano…
«È vero. E aggiungo: l’agonismo che c’era ai miei tempi non lo riscontro nelle nuove generazioni e questo è anche il loro limite».
Tasto dolente del Millennio: il rapporto coach-genitori?
«All’inizio dell’anno abbiamo ribadito che per la crescita dei ragazzi è necessario che società e famiglie remino nella stessa direzione. I genitori devono sostenere i ragazzi senza esaltarli né deprimerli. Chi pensa di avere un figlio-fenomeno cambi strada. E ho già grandi soddisfazioni».
La più bella?
«Sentirsi dire a fine allenamento “coach, ma abbiamo già finito?”».
Quando giocavi alla Snaidero ti sei laureato in filosofia. Ci ricordi con quale tesi?
«Certo: “Interpretazione umanistica di Marx da parte di Rodolfo Mondolfo”, facoltà di Lettere e Filosofia all’Università di Trieste. Presi la laurea per piacere personale, ma poi la filosofia mi ha aiutato anche nel basket».
Come?
«A non sentirmi mai arrivato, a non chiedere qualcosa prima di essermela guadagnata, a cercare sempre di migliorare».
A inizio carriera eri celebre per non volerti arrendere al telefono cellulare.
«Europei 1999 in Francia: davanti ai tuoi colleghi perplessi, ai miei genitori ad Aquileia telefonavo ancora dalla cabina telefonica a gettoni».
Perché non segui più la pallacanestro?
«A me il basket piaceva giocarlo e ora insegnarlo. Nel 2011 a Cantù, ultima stagione in serie A, arrivavo in palestra giovedì e non sapevo ancora con chi avremmo giocato domenica. Eppure in campo davo tutto ed ero ancora utile a 38 anni».
Ora?
«Seguo poco o nulla, leggo qualche titolo su giornali o social».
I tuoi figli giocano?
«Lucio, negli under 15, se la cava. Gioca a Nova Gorica perché finora ha sempre militato in squadre di matrice slovena in Italia. Nell’ex Jugoslavia hanno un’altra marcia. Là lo sport a scuola si fa, ti insegnano a praticare diverse disciplinbe, hanno un’altra marcia».
All’Apu c’è una tua vecchia conoscenza: il preparatore Gigi Sepulcri.
«Gigi è un amico, peccato che non mi voglia più allenare (ride ndr). Quanto ci ha fatto correre a Gorizia...».
A Cividale invece allena Pillastrini. L’hai mai avuto?
«Certo, alla Snaidero. Pacato, sa tutto di basket non mi meraviglia perciò che Cividale abbia fatto un bel salto in questi anni».
Il collega con cui è rimasto più in contatto?
«Ero e resto un orso. Ogni tanto mi sento con “Baso” (Gianluca Basile ndr), “Bullo” (Massimo Bulleri ndr) e soprattutto Galanda: siamo amiconi e ci sentiamo sempre».
Sai che Gek potrebbe anche diventare il prossimo presidente della Federbasket?
«Davvero? Non so nemmeno chi ha vinto il derby domenica scorsa, figurarsi se sono aggornato sulla politica sportiva. Ma chi ha vinto il derby allora?». Capitano, ha vinto l’Apu 90-80. E Vertemati e “Pilla” farebbero firma per averti in campo. Di entrambe le squadre saresti la perfetta ciliegina sulla torta.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto