Paolo Miano, il Neeskens friulano e quel leggendario slalom all’Inter

la storia
stefano martorano
Aprite il vostro personale archivio del cuore bianconero, scorrete alla voce Udinese-Inter e cercate tra i dolci ricordi. L’algoritmo delle emozioni vi proporrà il colpo di testa di Bierhoff del 1997, la staffilata di Rossitto del ’92 e la doppietta di Di Natale del 2013, tutte gemme che però fanno solo da contorno al diamante che Paolo Miano infilò al dito dell’Udinese il 31 marzo del 1985, quando il biondo centrocampista di San Pietro al Natisone firmò la vittoria della Zebretta, saltando uno dopo l’altro Marini, Beppe Baresi, Bergomi e Ferri, prima di battere Recchi. «Sono passati un bel po’ di anni e la gente mi ricorda ancora per quel gol, della cui bellezza non mi resi subito conto. Zico mi passò il pallone e d’istinto puntai verso la porta, mentre lui alle spalle mi diceva “tira, tira”. Invece io continuai a dribblare e quando vidi la maglia gialla di Recchi venirmi incontro scartai anche lui e la misi dentro a porta vuota. Purtroppo la mia carriera è finita presto, ho sfiorato solo uno scudetto quando giocavo nel Napoli e mi rendo conto che vengo ricordato più che altro per quel gol». E se le parole di Miano ancora non bastano, il video su Youtube aiuterà a comprendere la rara bellezza di un gol divenuto poi leggendario nella storia dell’Udinese.
Oltre a firmare una delle undici vittorie interne sull’Inter, che in quella occasione subì il colpo di grazia nella corsa scudetto poi vinta dal Verona, il gol di Miano fece letteralmente il giro del mondo in modo davvero curioso. «All’epoca la Toshiba inserì il filmato di quella rete nella pubblicità dei suoi nuovi videoregistratori e lo stesso fece anche una delle prime enciclopedie multimediali provviste di Cd- rom, collegando quel gol alla voce dribbling», ricorda oggi Zè Paolo, così come venne ribattezzato dai tifosi dopo quella serie di dribbling di stampo sudamericano, purtroppo oggi così rari da vedersi anche tra gli interpreti nostrani al Friuli. «Non so se sia mancanza di personalità, ma il calcio è cambiato e il livello si è abbassato. Una volta c’era la marcatura fissa e se non prendevi la scarpata che ti buttava giù creavi la superiorità numerica. Oggi vedi giocatori che entrano e poi scaricano palla dietro», osserva Miano dall’alto della sua competenza di cui si è servita anche l’Udinese fino a un paio d’anni fa, in veste di collaboratore tecnico, e che adesso invece è tutta al servizio dei ragazzini a cui insegna tecnica calcistica nella sua scuola fondata assieme all’amico ed ex bianconero Gianfranco Cinello, con sede a Paderno. «Nell’Udinese attuale De Paul è l’unico che può saltare l’uomo. Appena arrivato esprimeva grande autostima, si prese il 10, ma poi in campo non quagliava, andava avanti e si dimenticava di chi gli stava dietro. Grazie a Del Neri ha imparato a fare le due fasi e oggi è maturo. Gli darei più libertà sfruttando tutto quello che può dare in fase offensiva, come fece con me De Sisti. Mi disse che ero un genialoide e che dovevo essere libero di muovermi come volevo».
Miano non lo dice apertamente, ma forse rivede qualche sprazzo di se stesso nel De Paul di oggi, come traspare anche dal suo personaggio in cerca di autore. «Nascevo come trequartista, poi passai a fare l’ala destra e con l’arrivo di Causio finì a fare il falso nueve, mentre con l’arrivo di Zico dovevo giocare a due tocchi per dargli palla. Correvo con qualità al punto che un grande del giornalismo come Paolo Condò mi definì il Neeskens di quella Udinese, là dove Zico era l’indiscusso Cruyff».
A proposito, una nuova Udinese-Inter è alle porte e Miano la vede così: «Questa Udinese è tra le più quadrate degli ultimi anni. Lasagna avrebbe delle potenzialità incredibili che ancora non sfrutta, la difesa non è la banda del buco, Musso è un portiere importante e tutto sommato la squadra può ambire a una classifica migliore. Domenica arriva l’Inter, che è migliorata, e sarà un altro cliente difficile, ma l’unica medicina è provare a giocarsela davanti al proprio pubblico che per me dovrebbe avere il compito preciso di sostenere la squadra sempre e comunque, nella buona e nella cattiva sorte». Un amore, quello del bianconero friulano, che Miano conosce bene per averlo provato fin dalla più tenera età. «A tredici anni passai alle giovanili dell’Udinese e ricordo bene l’orgoglio clamoroso che provavo quando uscivo di casa con la borsa dell’Udinese. Oggi allo stadio ci vado poco, il calcio lo guardo, ma preferisco insegnarlo ai bambini». —
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