Pancino e il Collare d’Oro «Non me l’aspettavo più Milan? È un campione»

L’iridato del 1966 è stato uno dei premiati ieri a Milano da Malagò «Che bello rivedere Borghetti, l’ultima volta fu nel ’68 a Montevideo» 

il personaggio

Francesco tonizzo

Nel 1966, Gino Pancino, da Domanins di San Giorgio della Richinvelda, conquistò il titolo mondiale dell’inseguimento a squadre, vestendo la divisa azzurra della Nazionale alla rassegna iridata di Francoforte, in Germania. Ieri, 55 anni dopo quell’impresa realizzata assieme ai compagni Luigi Roncaglia, Antonio Castello e Cipriano Chemello, il pistard friulano è stato insignito con il Collare d’Oro, la massima benemerenza assegnata dal Coni, nella cerimonia che s’è svolta a Milano. «Dopo tanti anni – spiega Gino Pancino –, non me lo sarei mai più aspettato. Salire sul palco, assieme a tanti ex compagni di squadra, a ricevere un premio dal presidente del Coni Giovanni Malagò è stata un’emozione intensa. Soprattutto, è stato particolare e interessante rivedere tanti volti di amici che da tempo non incrociavo più. D’altronde, sono passati più di cinquant’anni, eppure le sensazioni e lo spirito che abbiamo riscoperto assieme sono sempre belli. Mi ha fatto piacere rivedere Luigi Borghetti, con il quale fui tra i primissimi a frequentare il centro atletico di Milano: l’ultima volta che lo incrociai fu ai Mondiali del 1968 a Montevideo, in Uruguay».

Ed è stato bello anche vedere tutti assieme sul palco di Milano gli eroi azzurri di quella straordinaria stagione ciclistica. A metà del secolo scorso, il ciclismo, su strada e in pista, era lo sport trainante in Italia, grazie alle imprese di Pancino e soci. Oggi, con i successi di Filippo Ganna e Jonathan Milan, il nostro Paese sta riscoprendo l’antico amore per le due ruote? «La sensazione è quella – conferma Pancino –. Chiaro che è tutta una questione di alti e bassi e occorre trovare il momento giusto per sfruttare le circostanze, magari l’avvento sulla scena di un campione che faccia individualmente la differenza. Guardiamo a quello che succede nella vicina Slovenia, per esempio: con due talenti del calibro di Tadej Pogacar e Primož Roglic sono ai vertici del ciclismo mondiale. Serve soprattutto il lavoro di base, quello che si faceva ai miei tempi. Oggi, il commissario tecnico della pista Marco Villa sta facendo benissimo, soprattutto con il quartetto dell'inseguimento. Un’attività simile paga sempre, il lavoro fatto bene dà sempre risultati positivi, anche se non ci sono talenti puri con i quali impegnarsi».

A proposito di talenti, in pochi mesi, il ventunenne Jonathan Milan è diventato un punto di riferimento del settore della pista azzurro: nel 2020 il bronzo iridato, quest'anno la medaglia d’oro a Tokyo, il fresco titolo europeo, tra una settimana correrà il Mondiale a Roubaix: che atleta è il bujese, secondo Gino Pancino? «Non lo conosco bene di persona, ma l’ho visto correre in tv e ho osservato i suoi risultati. Fa tempi stratosferici anche due mesi dopo le Olimpiadi e tiene un ritmo e un’intensità di gara che dimostrano che la stoffa del campione c’è tutta. So che è seguito a dovere da tecnici preparati che possono contribuire alla sua ulteriore crescita nel modo giusto. Come festeggerò il Collare d’oro? In sordina, senza clamore, com’è nel mio Dna: magari con una cena in famiglia, come ho sempre fatto». —

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