L’ultimo Coppi al Bottecchia: settant’anni fa il Campionissimo corse a Pordenone

Pubblico in delirio e città bloccata per il ciclista che fermava l’Italia: nove giorni prima aveva vinto il Mondiale su strada a Lugano

Giacinto Bevilacqua
Il Campionissimo si esibì al Bottecchia l’8 settembre 1953, i cerotti sono la conseguenza di una caduta in pista qualche giorno prima
Il Campionissimo si esibì al Bottecchia l’8 settembre 1953, i cerotti sono la conseguenza di una caduta in pista qualche giorno prima

PORDENONE. Di bianco non aveva portato con sé alcuna signora, ma solo dei vistosi cerotti sul sopracciglio sinistro. Sono trascorsi 70 anni dall’incarnazione della divinità sportiva al velodromo Ottavio Bottecchia di Pordenone, ma sono ancora in molti a ricordare l’epifania di Fausto Coppi.

Il Campionissimo calcò il manto di cemento dell’anello cittadino per l’ultima volta l’8 settembre 1953. Per Pordenone fu giornata di festa, tutta dedicata alla compatrona, la Madonna delle Grazie, e gli uffici pubblici, come la gran parte degli esercizi commerciali e delle attività produttive, rispettarono la sacra ricorrenza.

Coppi vinse il Mondiale a Lugano 9 giorni prima
Coppi vinse il Mondiale a Lugano 9 giorni prima

Da tradizione molto apprezzata, ogni anno l’8 settembre al velodromo intitolato al più grande sportivo della storia di Pordenone si svolgevano prestigiose riunioni ciclistiche per le quali gli organizzatori non badavano a spese, arrivando a ingaggiare i più celebrati pistard in circolazione.

La star assoluta in quell’occasione era il Campionissimo, convinto a esibirsi in riva al Noncello mesi prima che colmasse l’unica lacuna del suo fantastico palmares: il campionato del mondo su strada.

Coppi ci era riuscito il 30 agosto a Lugano quando, approfittando della presenza sul percorso della salita della Crespera, prese il volo come l’airone da cui prese il soprannome, aggiudicandosi l’iride con 6’22” di vantaggio sul belga Germain Derycke e 7’33” sull’altro belga Stan Ockers.

Il grande Fausto aveva dovuto attendere quasi il compimento dei suoi 34 anni per cingersi dell’iride su strada perché al tempo i campionati del mondo si svolgevano su circuiti pressoché piatti e meno adatti alle sue straordinarie caratteristiche tecniche. Pochi lo avevano sospettato, ma quel Mondiale finirà con lo stravolgere la società italiana e il diritto matrimoniale al solo apparire sul podio svizzero di una misteriosa quanto avvenente signora, soprannominata la Dama Bianca, Giulia Occhini, moglie del medico condotto Enrico Locatelli, uno dei più accaniti tifosi dell’asso di Castellania.

Coppi aveva già una famiglia, moglie e figlia, che lasciò per Giulia. Ne deriveranno uno scandalo epocale, le nozze in Messico, un parto a Buenos Aires, il carcere per Giulia, il processo (soprattutto mediatico) per Fausto.

Noi, però, ci fermiamo prima. Dopo l’impresa di Lugano, che valse a Coppi la terza maglia iridata della sua carriera (quelle dell’inseguimento le aveva già fatte sue nel 1947 e nel 1949), Fausto intraprese una lunga e ben remunerata tournée fra strada e pista: il 31 agosto corse a Torino, il 1° settembre a Firenze, il 3 a San Marino, il 4 a Milano, il 5 a Pescantina, il 6 a Nizza Monferrato di giorno e a Biella in notturna, il 7 a Monza. Nonostante fosse diventato campione del mondo, Fausto Coppi mantenne la parola e, senza chiedere una lira in più dell’ingaggio pattuito prima di Lugano, si presentò regolarmente a Pordenone.

Nel suo stile, agiato ma discreto, del resto all’altezza del suo status di sportivo più popolare d’Europa in quel momento (detentore del record dell’ora, unico uomo a vincere nello stesso anno Giro d’Italia e Tour de France contro le previsioni di medici e di scienziati sia nel 1949 che nel 1952, fenomeno a cronometro, in salita e in pista), raggiunse la città con la sua Lancia guidata dall’autista personale e alloggiò al centrale Hotel Moderno, il più prestigioso a Pordenone.

Nel frattempo gli spalti del velodromo Bottecchia si erano riempiti oltre ogni ordine di spazio, quando ancora una folla numerosa attendeva in fila per poter acquistare il biglietto e vedere con i propri occhi il Campionissimo e gli altri invitati, non da ultimo l’amico-rivale di una carriera, il leggendario Gino Bartali.

Temendo per l’ordine pubblico, a un certo punto il prefetto impose che si aprissero i cancelli, permettendo a tutti di assistere alla riunione. Per capire il delirio della folla, valga la pena solo ricordare che in Italia non c’era ancora la televisione e che il ciclismo, lo svago popolare allora più in voga, era seguito alla radio o sui giornali, magari con qualche giorno di ritardo.

Per vedere i propri beniamini bisognava raggiungere il teatro di gara e ciò non accadeva tutti i giorni. A un certo punto il sogno tanto atteso si avverò. Fausto Coppi, visibilmente affaticato e ferito, con una vistosa abrasione allo zigomo sinistro e il sopracciglio incerottato, varcò i cancelli del velodromo. Cosa gli era successo? Nei giorni precedenti era scivolato in gara. Gli studiosi registrano il ritiro di Fausto Coppi durante la riunione al velodromo delle Cascine a Firenze il 1° settembre quando, verosimilmente, si ferì al volto.

Quale effetto suscitò l’apparizione del Campionissimo al Bottecchia? Scegliamo la testimonianza dell’allora quindicenne Olivo Ciot, poi diventato eccezionale collezionista di libri e giornali sullo sport delle due ruote nella sua casa-emeroteca di Cimpello di Fiume Veneto. «Ero un grande appassionato di ciclismo, che avevo anche provato a praticare, e un fervente tifoso di Fausto Coppi – ricorda oggi, ancora commosso, l’85nne Olivo – per cui non persi l’occasione di raggiungere il velodromo di Pordenone. Fu l’eccitazione per l’attesa o l’emozione per il sogno avverato, fatto sta che mi accadde un fenomeno imprevisto. Quando ritornai a casa, mia mamma mi chiese se mi ero divertito. Ebbene, non fui in grado di risponderle quella sera e nemmeno il giorno dopo e il successivo ancora. Avevo perso l’uso della parola per la straordinaria emozione vissuta».

Per il Campionissimo quella dell’8 settembre 1953 fu la seconda e ultima esibizione al velodromo di Pordenone. Un destino spietato lo consegnerà alla leggenda il 2 gennaio 1960 a nemmeno 41 anni d’età.

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