Il Venezia di Zamparini nei ricordi dell’ad Cainero dal giovane ds Marotta alla salvezza con Recoba

Il ritorno nella massima serie a quasi 20 anni dalla gestione friulana «In tutto ho fatto nove anni là con il ruolo di amministratore delegato» 
Massimo Meroi

L’INTERVISTA



L’ultima volta che il Venezia aveva assaporato la serie A c’era un bel po’ di Friuli nella dirigenza lagunare. Maurizio Zamparini alla presidenza, Enzo Cainero nelle vesti di amministratore delegato.

Cainero, anche lei quando c’era da festeggiare una promozione o una salvezza si tuffava nel canale dietro la tribuna del Penzo?

«No, ma festeggiavamo eccome. A volte anche per una salvezza conquistata in serie B. In tutto ho fatto nove anni là come amministratore delegato, non sono pochi».

In questo club c’è molto di Venezia: il responsabile dell’area tecnica Poggi, il direttore sportivo Collauto e alcuni giocatori. La ricetta di prendere gente legata al territorio funziona ancora.

«Sì. Lo zoccolo duro di ragazzi del territorio molto forti c’era anche ai nostri tempi».

Che piazza è Venezia?

«Difficile, senza uno stadio nuovo diventa difficile programmare. Ai miei tempi avevamo individuato l’area per costruirlo vicino all’aeroporto, poi il progetto non si è concretizzato. Non conosco l’attuale proprietà ma spero che da questa ripresa nasca una nuova progettualità ».

Paolo Poggi è stato un suo calciatore.

«Ragazzo eccezionale. Allora era giovanissimo, lo cedemmo al Toro dal quale poi lo prese l’Udinese».

Quanti allenatori, e che allenatori, ha avuto modo di conoscere?

«Zaccheroni, Spalletti, Prandelli, Novellino. Io li prendevo, li esoneravo e poi andavo a richiamarli. Il lavoro sporco spettava sempre a me, mica all’allora ds Marotta...».

Già, Marotta. Oggi è considerato all’unanimità il miglior dirigente del calcio italiano.

«Beppe è una persona eccezionale, competente. Ha sempre tenuto conto dell’azienda per cui lavorava e il suo addio alla Juventus lo dimostra».

In che senso?

«Era contrario alle spese folli che sono state fatte».

A proposito di spese folli: Conte era sotto contratto, non voleva restare e ha pure ricevuto la buonuscita. l’Inter non poteva dirgli: o rispetti il contratto o dai le dimissioni?

«Sono perfettamente d’accordo. Se uno decide di uscire non può anche essere sostenuto con un premio».

Cainero, ma le piace ancora questo calcio?

«No, lo guardo in tv, ma non è più il mio calcio. La passione e la forza di volontà non sono quelle di una volta. E forse non è un caso che la qualità del campionato italiano sia decisamente in ribasso. Una cosa però mi manca: l’atmosfera dello spogliatoio».

L’allenatore al quale è rimasto più legato?

«Tutti hanno avuto una storia. Quello con il quale sono rimasto in contatto è Zaccheroni. Insieme abbiamo passato momenti straordinari».

Novellino che tipo era?

«Un bravo tecnico con un carattere difficile che a volte gli impediva di avere sempre un buon rapporto con la presidenza. Diciamo che non era molto controllabile».

A Venezia ricordano ancora la salvezza conquistata grazie all’acquisto a gennaio di Recoba.

«Con lui avevo un splendido rapporto. Sinistro fatato, ma anche un bravo ragazzo. Volpi e Pedone sapevano che se gli mettevano cinque palloni giusti due finivano dentro».

C’è stato qualche giocatore con il quale ha litigato?

«Diciamo che quando vedevo qualcuno in spogliatoio che passava ore a pettinarsi e a curarsi per farsi bello mi cadevano le braccia. Ma nomi non ne faccio».

Lei ha lavorato anche all’Udinese all’inizio degli anni Ottanta. Ricordi?

«Ho conosciuto ragazzi con i quali ho rapporti fraterni. Penso a Tesser, ma anche a Miano, Cinello, Borin. In quella squadra c’era il calciatore più intelligente che abbia mai conosciuto: sto parlando di Surjak. Ivica ci metteva nel sacco tutti quanti. Durante la guerra dell’ex Jugoslavia venne a giocare al Friuli un’amichevole per ricordare Cecotti, poi l’ho ritrovato quando ad allenare l’Hajduk ci è andato Edy Reja. Persona eccezionale». —



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