Gorizia nell’élite del basket vent’anni fa il grande volo

GORIZIA. Per Antonello Riva, recordman di punti segnati in serie A e in Nazionale, è stato «meglio di vincere uno scudetto». Per una piccola città di frontiera capace di riempire il suo palazzetto dello sport con oltre 5 mila persone, è stata una gioiosa ebbrezza collettiva pari solo alla vittoria “mundial” del 1982 sull’asse isontino-friulano Zoff-Bearzot.
Oggi sono passati esattamente vent’anni da quel 28 maggio 1998: al PalaBigot, davanti a 5.085 spettatori (record d’incasso da 120 milioni di lire), si gioca gara 4 della serie tra Dinamica Gorizia e Genertel Trieste. Un derby che vale la promozione in A1: il massimo della sofferenza e dell’intensità per giocatori e tifosi. Finisce 77 a 75: è la vittoria 3 a 1 che regala il salto nella massima seria per i biancoblù dopo 14 anni di purgatorio in B. L’ex “Nizza austriaca” perde il suo aplomb asburgico e impazzisce fino all’alba tra caroselli e festeggiamenti sfrenati. A moltiplicare il godimento c’è ovviamente la componente campanilistica: immaginarsi cosa potrebbe significare, oggi, un’analoga serie play-off tra Gsa e Alma. Ecco perché quel 28 maggio 1998 segna una data indelebile nella storia sportiva della regione.
La Dinamica di coach Fabrizio Frates ci arriva al top della forma. Ci sono le bocche da fuoco Riva, Mian, Tonut e Cambridge, la regia di Sidney Johnson, la versatilità e il fisico di Sly Gray. E soprattutto c’è l’artefice di quel sogno che diventa realtà: il patron Leo Terraneo. A tanti anni di distanza, Antonello Riva – interpellato dal Messaggero Veneto – non ha dubbi nell’affermare che «per me è stata una soddisfazione più grande rispetto a quando ho vinto lo scudetto».
Eppure per lo sport goriziano, e in un certo senso anche per tutto il basket regionale, quella sera ha coinciso con l’inizio di un ventennio di progressivo declino che soltanto adesso la Gsa ha cercato e l’Alma cerca di far dimenticare inseguendo il ritorno nell’élite nazionale. Per il capoluogo isontino l’epilogo è stato doppiamente amaro. Nell’estate ’98, poche settimane dopo la grande festa, Terraneo dopo anni di richiami – inascoltati – all’insegna de “l’unione fa la forza”, getta la spugna: troppi i sacrifici economici e i bocconi amari buttati giù negli anni precedenti. A colmare il vuoto arriva la public company che nel giugno del ’99, dopo un’esaltante salvezza in A1 con Franco Ciani in panchina, cede i diritti alla Pesaro di Scavolini, tra feroci polemiche e una città che al di là dell’indignazione e dei proclami su improbabili battaglie giudiziarie si ritrova impotente. Impossibile trovare risorse adeguate a far fronte all’indebitamento: ecco la giustificazione di chi ha preso parte a quell’avventura gestionale durata meno di dodici mesi. Resta il rimpianto per una città che dagli anni Cinquanta in poi era stata fucina di talenti senza eguali in Italia: su tutti Tonino Zorzi, Paolo Vittori e Pino Brumatti. Una passione cestistica unica, che faceva dimenticare a Gorizia il proprio destino di marginalità. Adesso in riva all’Isonzo non si va oltre la C Silver.
Lo stesso Terraneo ed Enzo Cainero, patron delle tappe friulane del Giro d’Italia ed ex presidente della Pallacanestro Udinese, negli anni Novanta avevano accarezzato anche l’idea di una squadra unica che mettendo da parte i campanilismi – da sempre croce e delizia dello sport regionale – avrebbe potuto catalizzare le risorse per dar vita a una realtà in grado di competere ai massimi livelli. Magari con un nuovo palasport baricentrico a Palmanova. Nel pourparler venne coinvolto anche Zamparini, ma il progetto morì sul nascere.
Difficile illudersi che oggi Gorizia possa risorgere come realtà autonoma, a meno dell’improbabile arrivo di un mecenate. «Magari qualche miliardario russo innamorato del Collio deciderà di investire un po’ di milioni»: ecco l’auspicio suggerito da Alberto Ardessi, la bandiera per eccellenza del basket goriziano. Chissà che prima o poi la “preghiera” di Albertone non possa essere esaudita...
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