Elena Cecchini si racconta: «Ho l’azzurro nel cuore»

Dal 2009 ha conquistato 23 medaglie tra Mondiali ed Europei. «Messaggio alle giovani? Inseguite sempre quella maglia»

Antonio Simeoli

Guarda il quadro in cui papà Luca, nella villetta di famiglia di San Marco di Mereto di Tomba, gli ha piazzato tutte le medaglie conquistate in maglia azzurra in 15 anni di carriera. Da ieri ce n’è un’altra, il bronzo vinto in Belgio al primo campionato europeo dedicato alle bici Gravel.

Elena Cecchini, 31 anni, gruppo sportivo Fiamme Azzurre, pro dello squadrone olandese della SdWork, moglie dell’olimpionico dell’Ineos Elia Viviani da un’annetto, 24 mila km all’anno in bici da un decennio con la pioggia e il sole, si gode un po’ di riposo dopo le fatiche sulla bici fuoristrada. Domenica a Treviso correrà anche i Mondiali della specialità.

Intanto ci racconta 15 anni di amore puro per la maglia azzurra e medaglie in serie. Il palmares è da brividi: due argenti e altrettanti bronzi ai Mondiali, 4 ori, 5 argenti e 9 bronzi agli Europei, un oro ai Giochi del Mediterraneo. Totale: 23 medaglie. Impressionante.

Iniziamo dall’ultima?

«Bellissima. Dall’inizio di settembre stavo bene. Anche agli Europei su strada ero andata forte, così domenica ho iniziato la mia gara libera di testa, senza l’obbligo di fare risultato ed è arrivato un bellissimo bronzo dopo una gara pazzesca col coltello tra i denti».

È duro il Gravel?

«Chi pensa sia la classica specialità alla moda per corridori a fine carriera venga a provarla. Dal primo all’ultimo dei cento chilometri di corsa è stata battaglia: una lunghissima crono di 4 ore. Era un percorso da classiche, il ct Pontoni mi aveva proposto questa avventura un paio di mesi fa, ho accettao di buon grado e ne sono felice».

La disciplina avrà successo?

«Sì, al Nord le mie colleghe usano spesso la bici da Gravel per gli allenamenti, per variare le ore sui pedali, trovare qualcosa di diverso.Tre-quattro belle gare di Gravel a stagione le consiglio alle mie più giovani colleghe. Servono eccome anche per la strada, un po’ come accade per ciclocross e pista».

È l’ennesima medaglia con la maglia azzura. E la prima te la ricordi?

«(guarda il quadro fatto dal papà e si commuove ndr). Era il 2009, Europei juniores, avevo 17 anni. Si correva in Belgio proprio come domenica. Arrivo in leggera salita, esco davanti alla prima curva a destra e batto la francese Pauline Ferrand-Prevot, poi mia rivale tra i pro. Una gioia immensa».

La premiazione te la ricordi?

«Certo. Le note dell’Inno di Mameli che partono, io che mi commuovo. Per me la maglia azzurra è la cosa più bella, nel ciclismo femminile la prima volta che puoi indossarla è solo nella categoria juniores. Io ho sempre vissuto l’esperienza in azzurro come il massimo possibile, l’orgoglio per una atleta».

Da lì quella maglia non l’hai più tolta.

«All’inizo della carriera e adesso era ed è una conquista, in mezzo forse è stata scontata perchè non eravamo in tante ad alto livello. Invece ora la concorrenza è altissima quindi continuare a vestire l’azzurro è ancora più bello».

Il più grande rammarico?

«Non aver partecipato alle Olimpiadi di Tokyo nel 2021, non tanto per essere stata esclusa, quanto per non essere stata giudicata davvero per quello che valevo».

A Rio nel 2016 però c’era, e c’era anche Elia...

«Le Olimpiadi con la maglia azzurra sono il massimo che si possa sognare. Ti trovi catapultato in un mondo con migliaia di atleti. Anche solo partecipare è un sogno, figurarsi per una come me che ha aiutato Elisa Longo Borghini a conquistare un bronzo e ha visto il suo futuro marito vincere l’oro».

Ha vinto spesso medaglie in azzurro nelle crono a squadre.

«Vincere di squadra è l’essenza del ciclismo. A Trento nel 2021 ho vinto la crono mista, c’erano anche Ale De Marchi e Filippo Ganna. Da alcuni hanni ho il privilegio di correre nella Sd Worx, team infarcito di star. Devi aiutare a vincere più che provare a vincere: come all’ultimo Tour de France vinto da Demi Vollering».

E l’argento su strada in Olanda nel 2019? Rimpianti?

«No. E sai anche perchè? Fui battuta da Emy Pieters, ora in sedia a rotelle dopo un incidente in allenamento e impegnata in una lunga riabilitazione. Sono andata a trovarla in Olanda poco tempo fa. È bello quell’oro ce l’abbia lei».

E ai Giochi di Parigi 2024 ci pensa?

«È il mio grande obiettivo, il percorso in centro a Parigi è perfetto. Sarà durissima, le maglie disponibili saranno solo quattro, ma so che il ct Sangalli apprezza anche chi è pronto a lavorare per gli altri».

L’azzurro è un affare di famiglia, Elia e non solo...

«Vero, papà Luca è accompagnatore della nazionale di paraciclismo, mio fratello Enrico da anni è massaggiatore del Team Italia: insomma siamo una famiglia votata alla Nazionale».

Ai suoi bimbi un giorno come racconterà questi 15 anni di medaglie?

«Intanto alle mie colleghe giovani dico che l’azzurro non è scontato, bisogna guadagnarselo e rispettarlo. Ai miei bimbi, che inzanzi tutto spero facciano uno sport, racconterò di tutti i sacrifici fatti per indossare l’azzurro. E che ne è davvero valsa la pena. Eccome».

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