Damiano vive il sogno del grande rugby, con il papà nel cuore

Borean, 18enne di Zoppola, dalla Benetton alla nazionale. Una carriera in ascesa nel ricordo del padre, perso a 8 anni

ZOPPOLA. Damiano Borean, classe 1997, di Castions di Zoppola è un ragazzone diciottenne, che ha scoperto da poco il rugby e che sta provando a farne la sua personalissima via d’uscita dalla mediocrità.

La prima volta che hanno provato a farlo giocare a rugby, non gli è piaciuto: «Avevo un allenatore che mi urlava sul muso le regole di un gioco che non conoscevo – racconta il pilone – me ne andai infastidito».

Poi, però, la svolta: a scuola, alle medie di Zoppola, arrivarono gli istruttori di rugby che, con gli insegnanti di ginnastica, lo iscrissero ai giochi sportivi studenteschi.

Fu chiaro che Damiano aveva trovato la sua dimensione: 187 centimetri per 105 chilogrammi di peso oggi e non tanti di meno quattro anni fa, non aveva rivali in campo. Anche se non sapeva tutte le regole, non c’era modo di placcarlo. Subito dopo, il Pordenone Rugby lo reclutò.

Alla prima da titolare, in under 14, segnò tre mete e pensare che mamma Nadia aveva pianto all'idea. «Quando è sceso in campo, ho pensato: adesso lo rompono».

Sbagliato: nell’impatto, a rompersi sono gli altri. E questo è il paradosso di questa storia: «Damiano ha sempre avuto un rapporto turbolento con la scuola – dice la madre – non coi coetanei ma coi docenti».

Per comprendere queste difficoltà non serve uno psicologo: Damiano Borean ha coltivato negli anni una rabbia recondita nei confronti del mondo circostante, legata ad un profondo senso d'ingiustizia.

La morte del padre, avvenuta nel 2005, in un incidente stradale provocato da un ubriaco è un colpo duro per chiunque. Figuriamoci, a 8 anni. Lì, è nato il Damiano che ha fatto impazzire preside ed insegnanti. Ma, forse, proprio quell’irruente desiderio di azzuffarsi sempre e comunque ha fatto di Damiano il rugbista che è oggi.

C’è voluta tanta pazienza, ma oggi la “testa calda” è un atleta coscienzioso, che studia e che, se anche non ama Dante e Leopardi, ha le idee molte chiare sul suo futuro.

«Voglio fare un po’ di soldi col professionismo – dice senza remore, masticando un wurstel – nel frattempo, prendermi una laurea, magari in fisioterapia, e far riposare mia madre». E dicendole questa cosa tenerissima, la abbraccia e solleva dolcemente: «Con me, sei stata brava».

Mentre la madre galleggia a mezz’aria tra un velo d’imbarazzo ed un quintale d’orgoglio, lui da buon pilone “cancella” ogni magia del momento imprecando perché sono finiti i wurstel.

Oggi, la sua è storia nota: tutta le giovanili fino al coach urlatore che non gli era piaciuto ma che ha ritrovato in under 18.

Poi, la Benetton: le segnalazioni ai tecnici federali e l’Accademia del rugby di Mogliano, una delle nove sedi in Italia in cui si può studiare (Damiano frequenta il quinto anno dell’Itis) e crescere rugbisticamente sotto la guida di allenatori federali.

Un percorso lungo 13mila chilometri: da Castions al Sudafrica con la maglia azzurra della nazionale under 18. E ora? «C’abbiamo riflettuto, farò il terzo pilone a San Donà – a rispondere è il giovane, ma nei paraggi c’è mamma Nadia – quest’anno sarà dura: dovrò allenarmi e studiare per la Maturità. Intanto, ho preso la patente».

Nadia sorride ancora, sembra quasi felice: forse, il ragazzone ha davvero trovato la sua strada.

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