Alessia Trost salta nei trent’anni
Compleanno importante per la saltatrice in alto friulana:
«Dieci anni da montagne russe, ma voglio vincere ancora. Sono tornata in Italia e la mia amica Vallortigara
è un grande sprone»

Nel giorno della festa delle donne, celebra il suo compleanno una delle atlete regionali più forti di sempre. Alessia Trost compie oggi trent’anni. La saltatrice in alto di Pordenone entra nel suo quarto decennio di vita, una parentesi che abbraccia con la consapevolezza di chi è realmente e di cosa vuole. L’azzurra si sente più matura, come persona e come atleta. Una cognizione arrivata al termine di un percorso, costato energie e sogni spezzati. A marzo 2013, quando aveva festeggiato i 20 anni, aveva appena saltato 2 metri, misura di eccellenza iridata. Per tutti era una delle prossime medaglie olimpiche italiane. Non è andata così.
«Ho vissuto sulle montagne russe», sostiene. Adesso un nuovo inizio. «L’orizzonte temporale che ho di fronte è più breve, rispetto al precedente, ma ho ancora molto da dare» – dice, con la volontà di recuperare le ultime stagioni perse.
Il 30 gennaio 2013, non ancora ventenne, vola a 2 metri. Visto il decennio che ha attraversato, risalterebbe quella misura?
«Sì, perché è stato bellissimo. Ma ho fatto fatica a gestire tutto ciò che quel salto ha generato. Ha avuto una ricaduta sulla mia vita, ho lottato con pressioni e aspettative».
Quei 2 metri sono stati un tornado, non sempre si ha la forza per resistere così giovani.
«Ero sempre sotto i riflettori, si parlava di me. Vedevo una mia foto su Facebook, leggevo i commenti e mi arrabbiavo. Ho fatto fatica a riportare il mio corpo e il lavoro al centro di tutto. Adesso mi sento più sul pezzo, ma soprattutto più tranquilla con me stessa. Più grande, in due parole».
Pensa che l’atletica, per certi versi, le abbia tolto molto?
«Mi ha vincolato in tante cose. Non ho mai visto un’estate, per esempio. È stata una scelta, sia chiaro, che tuttavia per certi versi ho sofferto, soprattutto se mi confrontavo con quanto facevano i miei coetanei. Ora ho un’altra età, i desideri cambiano. Essere stata lontano dai riflettori, nelle ultime due stagioni, mi ha aiutato. Mi ha permesso di riportare le priorità».
Tra l’altro tra il 2016 e il 2017 ha perso sua mamma, Susanna, quindi il suo allenatore, Gianfranco Chessa, con cui aveva smesso di collaborare pochi mesi prima.
«Un tritacarne. Mi sono resa conto successivamente di quanto è successo. Negli ultimi dieci anni ho passato momenti terrificanti e bellissimi con la stessa intensità».
Adesso si apre un altro capitolo. Come vive questa seconda fase della sua carriera?
«Con la consapevolezza di avere meno tempo a disposizione rispetto a un decennio fa, con la consapevolezza che non so cosa potrò ottenere, ma con la serenità di vivere giorno per giorno, con i piedi ancorati a terra, senza fare grandi programmi e progetti. Tornassi indietro, userei subito questo approccio, ma evidentemente questo fa parte della fase della mia esistenza che sto affrontando. Ho un altro rapporto con me stessa, a furia di sbagliare ho capito cosa funziona o meno sul mio corpo».
È vero che l’anno scorso faceva fatica ad alzarsi dal letto?
“Sì. Avevo paura di mettere i piedi a terra. Sentivo male dappertutto. Posso dire che nel 2022 ho toccato con mano il fondo. Ma sono stati quei momenti così duri a farmi capire che questa vita, la vita d’atleta, mi piace. Mi piace il mio sport e la mia disciplina. Ho avuto anche la fortuna di incontrare persone che mi hanno dato una mano a ricostruirmi. Adesso mi sento bene».
Non è più tornata ad allenarsi a Berlino, giusto?
«I lavori che avevo portato avanti in Germania erano interessanti, ma il mio corpo non era pronto ad assimilarli. Non avevo la struttura fisica. Un po’ alla volta mi sono logorata. Successivamente mi sono infortunata e sono stata ferma tre mesi. Lo scorso autunno sono ripartita da zero. Non avevo più niente dell’atleta. Durante l’inverno ho lavorato come dovevo. Ora posso dire di sentirmi una sportiva».
Chi la sta seguendo, adesso?
«Mi alleno in Italia e, con me, collaborano più persone. Della preparazione atletica si occupano il trio delle Fiamme Gialle formato da Andrea Matarazzo, Emanuel Margesin e Fabrizio Donato (quest’ultimo leggenda azzurra del salto triplo, ndr). Sono stati determinanti nella mia ripartenza. Per quanto riguarda la parte tecnica, avevo in mente di tornare in Germania, ma lo scorso ottobre ha iniziato a seguirmi Giulio Ciotti, ex saltatore in alto, lo stesso che detiene la supervisione tecnica di Gianmarco Tamberi (con cui Alessia ha lavorato ad Ancona con suo papà Marco, ndr). Mi sono trovata bene e ho deciso di rimanere con lui. Devo aggiungere che sono rimasta in Italia perché qui ho la possibilità di essere seguita bene dal punto di vista fisioterapico. Ne ho bisogno, arrivavo da una situazione in cui a livello muscolare ero a terra».
È vero che ha perso alcune stagioni, ma si rende conto che la vita di una saltatrice può cominciare anche dopo i 30? La sua amica ed ex saltatrice in alto Ruth Beitia ha vinto un oro olimpico a 37 anni.
«Ruth è stata un’atleta senza fronzoli. Le piaceva gareggiare, saltare. È un esempio, non c’è dubbio, ma se devo indicare una collega che mi sprona a dare il meglio, questa è Elena Vallortigara (classe 1991, ndr). Siamo rivali, ma amiche. E siamo simili come donne e come approccio all’atletica. Nel tempo ci siamo stimolate a vicenda. Quando io stavo bene, lei arrancava: coi miei risultati la spingevo a non mollare. Adesso accade il contrario. Elena ha passato stagioni difficili, ma alla fine è riuscita a salire sino a 2,02. E la scorsa stagione ha vinto la medaglia di bronzo ai mondiali. Mi insegna che le soddisfazioni sono lì, si possono prendere. Bisogna crederci. Aggiungo a riguardo che tutta l’atletica italiana, dopo i Giochi di Tokyo, ha fatto vedere che si possono ottenere risultati».
Si può dire che il miglior regalo che si potrebbe fare per i suoi 30 anni è la salute?
«Certo. Primo step da conseguire è stare bene. Il secondo allenarsi con continuità. Mi auguro anche serenità. A lungo ho vissuto come se fossi sulle montagne russe. Adesso, ribadisco, sono focalizzata sullo sport, sul mio percorso da atleta. Devo dire che il cambiamento è iniziato tutto ai Giochi Olimpici di Tokyo del 2021, che ho preparato lavorando di fatto da sola. Non sono andata oltre 1,90, non mi sono qualificata alla finale, ma viste le condizioni di partenza, in cui prima di partire praticamente non saltavo, quel risultato ha rappresentato per me una grande soddisfazione».
L’obiettivo della stagione sono i mondiali, a cui non prende parte dal 2019?
«Sì, qualificarmi per Budapest è il traguardo che voglio centrare. Debutterò a inizio maggio, ancora non so dove. Vediamo. Ripeto, vivo alla giornata. L’importante è essermi ritrovata».
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