Addio a Boniperti, bandiera della Juve. Pizzul: vi racconto quella telefonata arrivata nel cuore della notte

IL RICORDO
Con dolorosa cadenza ravvicinata ci ritroviamo a piangere amici e grandi uomini di sport la cui scomparsa, per quanto avanzata possa essere la loro età, ci lascia sgomenti e come offesi dal sentirci privati della loro presenza. Ora è arrivata l’ora di Giampiero Boniperti, straordinaria figura di giocatore e dirigente, autentica icona juventina. Ma più che elencare le tante gemme che illustrano il suo palmares vale forse la pena di ricordare e celebrare l’uomo sottolineando la spiccata personalità e il modo quasi mistico con cui si è sempre sentito legato alla gran madre.
Su di lui sono fioriti un’infinità di aneddoti, fin dagli esordi, con comportamenti che lo segnalarono all’attenzione degli Agnelli. La Juve, dopo averlo acquistato giovanissimo, lo fece ben presto entrare in prima squadra, ma lo riteneva troppo giovane per ricevere i premi partita in denaro e così decise di ricompensarlo donandogli una mucca delle tenute presidenziali. Ben presto però il fattore responsabile si lamentò presso gli Agnelli perché quel biondino dai boccoli ribelli, sceglieva sempre una mucca gravida, prendendo due piccioni con una fava. Accompagnato da simile fama Boniperti si confermò astuto e lungimirante come calciatore e soprattutto come dirigente.
Personalmente ho avuto il piacere e il privilegio di entrare spesso in contatto con lui, apprezzandone sempre l’acume e l’alto senso di professionalità. Tra le sue infinite frasi celebri quello che può essere considerato il mantra: «Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta», dai non juventini intesa in modo non sempre cristallino, ma di indiscutibile efficacia. Di aspetto delicato, gentile nei modi, si beccò subito da Benito Lorenzi il nomignolo di Marisa, con le inevitabili implicazioni del caso, ma alla lunga diventò amico anche del celebre “Veleno” che veniva spesso a trovare a Milano, per pranzare nel ristorante del suocero di Lorenzi, talora anche in mia presenza.
Ma con Boniperti ebbi un contatto particolare in occasione di un mio commento alla moviola della Domenica Sportiva. In un Cesena-Juventus l’arbitro decretò un calcio di rigore a favore della Juve per un contrasto tra Cera e Bettega. Io, con l’ausilio del solito Vitaletti, feci vedere le immagini e mi limitai a dire – come facevamo sempre – ciò che l’arbitro aveva deciso. Ma a guidare la DS c’era il grande Paolo Frajese, mio compagno di corso alla Rai, che con insistenza volle che io esprimessi il mio parere. Alla fine mi arresi e dissi che secondo me non era rigore. Apriti cielo! Arrivò subito una telefonata in corso Sempione in cui la Juve comunicava che, per sei mesi, nessun giocatore juventino avrebbe partecipato alla Domenica Sportiva. Un po’ avvilito me ne tornai a casa, ma a notte ormai inoltrata mi arrivò una telefonata di Boniperti il quale mi disse che non ce l’aveva con me, che il rigore non c’era, ma che la Juve non poteva permettere che si diffondesse l’idea che gli arbitri la favorivano.
Negli ultimi anni di Rai, ogni settimana avevo una trasmissione di un’oretta a notte fonda in colloquio a due con Boniperti collegato da Torino. Lì ho rinsaldato l’amicizia col presidente, del quale ho un altro ricordo che non mi lascia. Nella tragica notte dell’Heysel incontrai Giampiero dopo la fine di quella tremenda partita. Mi abbracciò e mi disse tra le lacrime di essersi trovato in mezzo alla gente che stava morendo e di aver ricevuto tante voci che invocavano la presenza di un prete per un ultimo saluto. In un singhiozzo finale: «Non ho potuto aiutarli, Bruno». Che uomo! Addio grande.—
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