Volga Blues, un viaggio nella Russia di Putin

Il saggio del giornalista friulano Marzio G. Mian che ha trascorso un mese all’estero: la presentazione giovedì 14 novembre all’Abbazia di Rosazzo, venerdì 29 alla Libreria Friuli di Udine

Mario Brandolin
Uno schermo gigante durante un congresso a San Pietroburgo nell’immagine il presidente Putin
Uno schermo gigante durante un congresso a San Pietroburgo nell’immagine il presidente Putin

Un reportage sulla Russia di oggi seguendo il corso del suo fiume più importante e rappresentativo, il Volga. Questo è Volga blues (Feltrinelli Gramma) da pochi giorni in libreria. L’ha scritto il giornalista Marzio G. Mian, friulano di Fanna, reporter giramondo per professione in oltre 50 paesi del mondo per media italiani e internazionali, che sarà presentato giovedì 14 novembre, alle 18, all’Abbazia di Rosazzo (nell’ambito degli incontri “I colloqui dell’Abbazia”, curati da Margherita Reguitti) e il 29 novembre alla Libreria Friuli di Udine con Paolo Mosanghini, vicedirettore del Messaggero Veneto.

Un viaggio, quello narrato da Mian, attraverso spazi e città nei quali si è scandita la storia di questa nazione, sin dai suoi albori. E che oggi ne riflettono con altrettanta forza la problematicità tra un passato ingombrante e un presente carico di incognite. Un volume e un reportage quanto mai attuali nel cercare di capire “che cosa vuol dire essere russi al tempo dell’offensiva neo-imperiale di Putin”, attraverso il racconto di numerosi incontri con imprenditori, religiosi, mercenari e intellettuali.

Dopo un viaggio durato un mese, che idea si è fatta della Russia di oggi, in guerra intanto con l’Ucraina e poi si vedrà?

«Ho avuto delle conferme e delle smentite. Conferme soprattutto riguardo al consenso che oggi c’è in Russia, più di due anni fa quando andai lì allo scoppio della guerra con l’Ucraina e c’era un disagio generale, un disorientamento rispetto all’azione bellica nei confronti di un paese che è comunque percepito come paese fratello. Oggi c’è un consenso che non riguarda tanto la guerra in Ucraina quanto l’azione generale di Putin. L’aver cioè innescato un processo di scardinamento dell’ordine internazionale per una nuova centralità della Russia. Con la consapevolezza che l’Occidente è diventato un nemico da combattere, cui la Russia ha girato le spalle».

Che cosa è la passionarnost, questa costante nel tempo dell’anima russa sulla quale anche Putin oggi fa leva?

«La capacità dei russi di sopportare delle sofferenze, anche sacrificarsi nel nome di un mondo che parla prega pensa in russo, una visione del mondo. Una specie di manifesto scritto in cirillico»

Lei cita, su segnalazione di uno dei suoi interlocutori, una frase dello scrittore ottocentesco Saltykov-Ščedrin: “Svegliatemi tra cent’anni, chiedetemi che cosa sta succedendo in Russia e vi risponderò: si ruba, si beve e si fa la guerra. ” È proprio così?

«Sono quelle frasi ad effetto che vogliono sottolineare quasi la circolarità della storia russa, di un ritorno di certe dinamiche. In particolare della smuta, ossia quel tempo di caos incertezze e torbidi che si è ripresentato spesso nel corso dei secoli in Russia, a partire dal dopo Ivan il terribile per arrivare sino alla crisi degli anni’90, seguita al crollo dell’Unione Sovietica. Con la percezione che il paese sia in pericolo. E questo è molto presente: la paura più grande per i russi è che la Russia possa subire un crollo, disgregarsi; è una paura antica che corrisponde anche alla bulimia di terra della Russia e contemporaneamente c’è la percezione della sua fragilità. È quasi un’ossessione, una paranoia: da qui il bisogno dell’uomo forte e la convinzione che la democrazia non può essere sufficiente a garantire quel mondo».

Lei ha definito questo libro e il viaggio come un azzardo.

«È stato così, perché non avevo il visto giornalistico e quindi mi muovevo a mio rischio e pericolo. Il libro, che uscirà anche in molti altri paesi, è lo sviluppo di un reportage scritto per Harpers che nei giorni scorsi ha avuto la candidatura al Pulitzer, perché è l’unica testimonianza sulla Russia in questo momento».

Ma azzardo anche perché pone delle domande sul “nostro” mondo, di noi occidentali, sulla “nostra” libertà.

«Cercare delle risposte in Russia ha innescato delle domande, in particolare sulla chiusura tra noi e i russi, in questo che è a tutti gli effetti uno scontro di civiltà. Frutto dell’idea che i russi hanno di noi, di un occidente in crisi e fragile, anche vittima di una cultura che abbatte le statue, si autoincrimina per il passato. Per cui la nostra sola forza pare quella delle armi, dell’azione della NATO sulla quale solo in America sembra esserci stato un’analisi critica anche di denuncia delle responsabilità della Nanto nell’aver in parte contribuito a innescare la guerra. Fermo restando che quello di Putin contro l’Ucraina è un atto criminale».

Alla casa di Fanna, patria d’incanto e calicanto”, così la dedica del libro…

«È la piccolissima patria nella piccola patria del Friuli, è il mondo che mi ha permesso di immaginarmi in giro per il mondo. Faccio fatica a ricordare, ad esempio, viaggi anche recenti. Ma del primo viaggio, quello con mia zia sulla littorina verso a Sacile, ricordo tutto. Tanto che dopo una galleria mi sembrava di essere in America. Un mondo cui sono affezionato e cui era giusto rendere omaggio».

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