Versi e prose dal Friuli del 1500
L’accademia San Marco di Pordenone riporta alla luce Giovan Battista Donato. Notaio, doganiere, maestro ma anche poeta: in 800 pagine tutte le sue opere

PORDENONE. L’accademia San Marco di Pordenone ha recentemente pubblicato, con la curatela di Rienzo Pellegrini, un corposo volume di oltre ottocento pagine su “Versi e prose” di Giovan Battista Donato, eclettico e atipico personaggio vissuto nel Cinquecento e fino agli inizi del Seicento tra Venezia e la Patria del Friuli.
Autore plurilingue, usa nei suoi scritti, in assenza di uno specifico tono stilistico, il latino, l’italiano (allora detto volgare), il veneziano e il friulano (in più varianti e soprattutto in quella concordiese) e presenta per gli studiosi un particolare interesse storico e linguistico, già all’attenzione della Società filologica friulana durante la “Setemane de culture furlane”.
La presentazione è avvenuta a San Vito al Tagliamento, in una zona che assieme a Sesto al Reghena, Bagnara, Portogruaro, Caorle e soprattutto Gruaro fu al centro delle sue svariate attività. Le notizie sulla sua vita, non raramente indiscrete, sono distribuite casualmente nei suoi stessi scritti e offrono un ritratto di una vicenda biografica ricca di svolte.
Giovan Battista Donato nasce intorno al 1534, figlio illegittimo del nobile veneziano Alvise Donato e di una donna trevigiana di civile condizione. Lo status negato gli dà adito a recriminazioni economiche e risentimenti anche in tarda età.
La nascita veneziana attiva i sentimenti di appartenenza ma non evita il distacco.
Quasi nulla si sa della sua formazione, che è lecito supporre includesse la conoscenza dei classici, di cui si hanno numerose citazioni.
Giovan Battista Donato è sicuramente a Gruaro nel 1559-1560, anni ai quali si riferisce il primo testo friulano datato. Esercita la professione di piccolo possidente, aiutato da manodopera avventizia per la coltivazione del suo “Ronco”.
Il rimpianto della città lagunare non gli impedisce comunque di immergersi nella terraferma (Gruaro è allora, assieme a Portogruaro e Concordia, parte della Patria del Friuli) in una rete ramificata di rapporti, in cui è rispettato e riverito: “In villa son tegnuo da mazzorente/ e, che ’l sia ’l vero, col capell in man / quanti me scontra me xè reverente”.
Peraltro, non manca di un registro scherzoso quando si riferisce al suo parlare locale: “lu mio favelaa con voo cusì alla gruaresa è dissavit e senza peverada” (il mio parlare con voi così alla gruarese è insipido e senza sapore).
Come scrive Rienzo Pellegrini nella prefazione, “nel concreto dei suoi testi friulani Donato svaria tonalità e impasti diversi, che vanno dalla tecnica mista alla copia fedele della varietà municipale, senza lasciar filtrare scale gerarchiche.
Friulano d’adozione, facendo propria la lingua del luogo, Donato non ha complessi d’inferiorità da esorcizzare e può ricorrere a cadenze particolaristiche o a pratiche di koinè senza pregiudizi e col massimo della estroversione”.
Nel 1565 Donato è doganiere al fondaco di Portogruaro, città in cui tesse elogi per il podestà e massime di buon governo (“in vero la Pace, l’Abondantia e la Giustitia sono le salde travi che sostengono il tetto della conservatione de’ popoli”), ma due anni dopo deve abbandonare la carica avendo contratto una malattia venerea.
Ciò non gli impedisce in seguito di sposarsi e di avere dei figli. Seguiranno altri incarichi: oltre ad agricoltore e doganiere, maestro di scuola a Caorle e poi notaio, oste, fornaio, cameraro al banco dei pegni di Sesto.
Numerosi gli interlocutori dei suoi scritti: dall’oste all’organista, dal luogotenente al patriarca, con una disinvoltura che passa da testi in funzione utilitaristica ad altri accademici, dettati dal puro piacere. Giovan Battista Donato muore a Gruaro, come attesta il registro dei morti di quella località, il 28 dicembre 1604.
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