Un inglese in val Aupa filma il mondo nascosto
L’opera prima di Chris Thomson con la moglie scrittrice

Un fiore ondeggia mosso dall’aria: un attimo dopo il rumore di gomme sull’asfalto sovrasta quell’immagine di levità selvaggia. L’inquadratura si sposta su un campanile che sbuca appena tra gli alberi: macchine corrono veloci sulla statale e sullo sfondo dell’inquadratura stanno le case di un paese ormai sommerso dal bosco. Due mondi.
Un mondo che va veloce e apparentemente vive: quello sulla striscia d’asfalto, tra i guardrail. E poi un mondo fermo, nascosto, quasi invisibile: quello del paesino di montagna sommerso dal verde. Che ci viva qualcuno? Che sia un paese fantasma?
A rispondere ci prova il film “The new wild. Life in abandoned lands” il lungometraggio d’esordio di Christopher Thomson che sarà proiettato al Visionario lunedí 8 gennaio in anteprima italiana, dopo essere approdato in diversi festival europei dedicati alle produzioni indipendenti, da Innsbruck a Sofia, da Berna a Tallinn. Thomson è londinese ma da sette anni vive con la sua compagna scrittrice, Sarah Waring, a Dordolla, in Val Aupa, sopra Moggio Udinese, che ha eletto a luogo di ispirazione e dove ha comprato casa. «Avevo in mente un progetto suoi luoghi abbandonati d’Europa, ma poi sono caduto dentro la mia storia. Ci sono voluti cinque anni prima di riprendere l’idea di un film e tre per finirlo».
Nel frattempo a Dordolla, paese di trenta anime, dove per Thomson tutto è iniziato sette anni fa con la visione casuale di alcune pecore condotte tra il verde e le case, sono nate amicizie, dei libri, delle mappe, un festival dedicato al raccolto - Harvest.
La scorsa estate una straordinaria rappresentazione teatrale - spettacolo a cielo aperto. E poi piano piano il progetto di regia, le riprese, il montaggio, l’appoggio di realtà di ricerca dell’Austria tirolese e carinziana, dell’Alpenverein e del Cai.
«È partita come una produzione di proporzioni modeste, è poi è cresciuta». Il film è un documentario e si sviluppa con il commento di una voce fuori campo e con fotogrammi che si susseguono in maniera evocativa, come accade nel trailer di cui accennavamo all’inizio: “meditativo”, “elegiaco”, “profondo”, “poetico”, “elegante” è stato definito a oggi da critici e commentatori che l’hanno visto all’estero.
Il tema centrale è quello dello spopolamento delle zone rurali e alpine: «Una realtà importante e sentita, che non riguarda soltanto il Friuli, ma è presente in ogni regione d’Europa come Portogallo, Bulgaria, Serbia, Estonia e persino Germania. È un problema comune, anche se ogni storia è sempre unica e particolare. Sono partito dal presupposto che non è un caso se in questo secolo tanti paesi sono stati abbandonati. Non può essere una coincidenza, anche se in Friuli è accaduto in maniera più veloce e visibile e la natura si è presto ripresa i suoi spazi».
Nel film non ci sono le tradizionali interviste ai sopravvissuti o “resistenti”. «No, il mio film non ha interviste. Comincia idealmente poco dopo, quando in paese non c’è più nessuno. È una proiezione nel futuro. Ho cercato di creare una contrapposizione forte. Da un lato l’idea di salvare qualcosa, innovare, provare a resistere; dall’altro l’ipotesi dell’abbandono totale».
La situazione documentata in Val Aupa è dunque emblematica, ma allo stesso tempo non è un film su Dordolla: potrebbe trattarsi di un qualunque altro paese abbandonato, lontano dalle concentrazioni urbane, dalla frenesia, dall’iperconnettività, dallo snaturamento.
Il film è diviso in tre parti: «La prima parla dell’abbandono e dell’impossibilità per un cittadino di immaginare quello che viene perso, quando non c’è più nessuno che può raccontare la sua storia; la seconda racconta la natura che riprende il territorio, l’animale che torna a viverci e cosa significa questo per chi vive in una città; la terza documenta un villaggio che prova a reinventarsi e sopravvivere».
Così, la vita rinasce dalle crepe di una rovina.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto
Leggi anche
Video