Tutto Stanislao Nievo nel giro del mondo in 50 anni

UDINE. I friulani somigliano molto agli irlandesi. Ci sono dati caratteriali in comune, come la tensione verso il male oscuro della ribellione e un lieve senso di follia creativa.
Una linfa frutto anche di una secolare emigrazione oltre che di un’antica storia del focolare in grado di mettere insieme vino, cucina e letteratura come pietanze per una situazione nella quale l’uomo civile prende energia e si riposa, mangia e sogna, pontifica ed evade da quel senso di miseria che ci assedia quando siamo deboli o soli in mezzo agli altri.
Insomma, si potrebbe inaugurare una sorta di vertiginosa “taverna culturale” riproponendo piatti e bevande di tanti libri, quadri, memorie, avendo come scenario un palazzetto di Dublino oppure un castello friulano.
A elaborare questi originali pensieri, a scriverne in un articolo sulle pagine de “Il Giornale” nel 1996 e a parlarne in un pub della capitale irlandese è stato Stanislao Nievo, originale figura di viaggiatore, giornalista e scrittore, nato a Milano nel 1928, morto a Roma nel 2006 e poi sepolto nella chiesa accanto all’antico maniero, a Colloredo di Monte Albano, luogo legatissimo al nome del famoso prozio, Ippolito Nievo.
Il racconto irlandese è uno dei tanti appartenenti a un’esistenza straordinaria che Stanislao spiegava cosí: «Ho corso i continenti, come una fiaba teatrale dai mille risvolti... Una lunga giornata, radiosa di risposte vibranti o spietate, di spettacoli da fiera celeste e terrestre ovunque abbia dato un’occhiata, in un paesaggio mutevole, sempre stimolante, spesso travolgente, con pochi nemici, molti veri amici, numerosi amministratori pubblici modesti e stolidi, alcuni meravigliosamente pronti. A questi ultimi, grazie per un mondo di bellezza».
Il viaggio e l’avventura erano dunque nell’anima e nello sguardo di Stanislao, un po’ alla Jack London che nel romanzo “Il vagabondo delle stelle” illustrava cosí la magica inquietudine: «Ho avuto la netta sensazione di aver vissuto in altri tempi e in altri luoghi, di avere addirittura ospitato in me altre persone. Ma, credetemi, lo stesso vale per voi: tornate con la mente alla fanciullezza e rivivrete come vostra l’esperienza di cui parlo».
Il nome di Stanislao Nievo è noto per i bellissimi libri che scrisse, a cominciare da “Il prato in fondo al mare”, un’indagine sul misterioso naufragio del 1861 in cui morí Ippolito di ritorno dalla Sicilia ormai garibaldina, per i film che girò (come “Mal d'Africa” del 1966, pellicola che suscitò commenti e reazioni in quanto denunciava il potere devastante dei furbi e dei dittatori nella gestione del continente nero che cercava una strada verso la democrazia), per i documentari televisivi e la battaglia condotta per la ricostruzione del castello di Colloredo, che ancora deve arrivare a termine.
Ma è tutta da riscoprire la sua intensa, appassionata attività letteraria quale “vagabondo delle stelle” in paesi lontani o vicinissimi a noi, che adesso finalmente può essere conosciuta attraverso un libro con cui l’editore Gaspari di Udine inaugura il suo 2015, aprendo la galleria di 30-40 testi che annualmente propone, con temi ricorrenti come la Grande Guerra e tutto ciò che riguarda appunto il pianeta nieviano, da Ippolito a Stanislao.
“Storie di un viaggiatore. Cinquant’anni intorno al mondo” (330 pagine, 18 euro), a cura di Mariarosa Santiloni e con introduzione di Fabio Pierangeli, raccoglie i reportage di mezzo secolo, alla maniera di Phileas Fogg, il personaggio inventato da Jules Verne per “Il giro del mondo in 80 giorni”.
Nel caso di Nievo, è lui stesso a sintetizzare la sua “aritmetica vagabonda” con questi numeri: «In 50 anni ho messo il naso in 90 paesi narrati in oltre 500 articoli per quotidiani e settimanali, o fotografati per enciclopedie e riviste. Realizzando nel frattempo e nel frammezzo cinque film (da organizzatore e da regista) con una costellazione di servizi televisivi, oltre alla scrittura di 20 libri, fra poesia, romanzi e saggi».
Il nuovo libro, arricchito da tante immagini, venne immaginato già nel 2005 quando Mariarosa Santiloni cominciò ad archiviare e a scegliere il materiale da pubblicare, diviso in 6 capitoli (Africa, Asia, Oceania, America, Balene e Antartide, Europa) ognuno dei quali è preceduto da un’intervista in cui Stanislao illustra i contenuti e il senso della ricerca in quel territorio.
Ne esce un racconto bellissimo, inedito nonostante la valanga di libri di viaggio già pubblicati, perché qui c’è il tocco dell’artista ecologo, come emerge nelle struggenti pagine intitolate “Lacrime di balena”. Per i lettori di ogni età, ma in particolare per i più giovani, è un viaggio da fare assolutamente. Si noterà come emergano la forza e l’attualità di un volume che pur raccoglie testi di decenni fa, perché resta intatto l’impatto emotivo sul lettore.
Parlando di Africa c’è un capitolo intitolato “Il massacro dimenticato” che ricorda una storia tragica, appunto accantonata dall’incalzare della cronaca e dagli opportunismi politici. Nell’autunno del 1989 Stanislao si recò nel deserto del Tenerè, che è il cuore del Sahara. Vi andò per cercare i resti di un aereo di linea abbattuto con 171 persone a bordo.
C’erano anche alcuni italiani, fra i quali suo fratello, Ippolito. Nessuno sopravvisse. Le cause restarono misteriose e impunite, ma si parlò di un attentato organizzato dal regime di Gheddafi. C’è una foto nel libro in cui si vede Stanislao, sconsolato, immerso nel vuoto desertico, seduto sui rottami del velivolo.
E scrisse: «Perdere un fratello, un grande amico, è un taglio del proprio corpo, un panorama natale crolla, come un castello d’antico incanto, che si guarda di tanto in tanto, ma che era sempre lí, alle spalle». A questa sciagura, così simile incredibilmente a quella del prozio Ippolito morto nel Tirreno, venne dedicato anche il romanzo “Il sorriso degli dei”.
Quando Stanislao morí nel 2006, il giornalista Giuseppe Conte disse: «Con lui ci lascia una specie sempre piú rara di scrittore, quello che concepisce la sua vita come una vera avventura da testimoniare senza far parte di conventicole o sbandierare appartenenze ideologiche».
Nel libro ora pubblicato, la mogle Consuelo propone un affettuoso ricordo del primo viaggio insieme, nel 1958, sulla motonave Victoria, diretta in Asia. Accanto a lei Stanislao scriveva sulla sua piccola Olivetti, animato da un’idea e dalla fantasia che decollava sempre con la partenza.
Tutto era cominciato cosí fin da bambino su un treno: «Tra fumo e fragore, nel vagone di seconda classe mi parve di essere accarezzato da un mondo misterioso e possente. Fu quell’apparizione ad accendere in me lo spirito del viaggiatore, che mi accompagnò poi nella vita».
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