Travaglio al Nuovo: «Racconto l’Italia dei lecchini»

Il direttore del Fatto quotidiano il 24 a Udine. «L’adulazione è colpa grave, Dante insegna»
Di Luciano Santin

«Un inquisitore da far impallidire Vyšinskij, il bieco strumento delle purghe di Stalin», lo definí Montanelli, che lo volle al Giornale, e poi dopo la rottura con Berlusconi, se lo portò dietro alla Voce. Oggi Marco Travaglio, torinese cinquantunenne e penna corrosiva quant’altre mai, è direttore de Il fatto quotidiano, e alterna ai corsivi le comparse in scena. Dopo il successo di “Promemoria”, “Anestesia totale” ed “È Stato la mafia”, ritornerà domenica 24 al Giovanni da Udine, dove, assieme a Giorgia Salari, presenterà “Slurp - Lecchini, Cortigiani & penne alla bava. La stampa al servizio dei potenti che ci hanno rovinati”. Si tratta, per il Friuli Vg, dell’unica rappresentazione dello spettacolo tratto dall'omonimo libro (e i biglietti sono ancora in vendita in teatro e nei punti autorizzati). Nel mirino di Travaglio, la stampa adulatoria «fa morire dal ridere, per merito dei copywriter, cioè dei giornalisti che certe cose le hanno scritte», dice. «Faccio fatica a convincere il pubblico che certe iperboli non sono una mia invenzione».

Fustigare chi non è giornalista d’assalto, non è parlare di specie estinte? Oggi, con la crocifissione al desk, le possibilità di approfondire sono minime...

Senza avere una visione eroica del giornalismo, non credo sia impossibile fare il mestiere onestamente, o almeno provarci. Occorre però non prendersi troppo sul serio, essere un po’ autoironici. Io mi limito ai casi piú clamorosi di piaggeria: niente di male che un giornalista abbia fiducia in un politico o in un governo, ma di qui a definire un premier reincarnazione di Cavour o di Giustiniano, o a divinizzare un presidente qualunque cosa faccia, ce ne corre.

L’affrettarsi a salire sul carro del vincitore e a scendere da quello dei perdenti è nel dna italiota.

Ma è grave che a sciogliere i peana per primi siano i giornalisti, che dovrebbero svegliare l'opinione pubblica. L'informazione ha creato miti poi rivelatisi pippe: quanto ci ha messo per ammettere che Berlusconi era quello che era? E quando è arrivato Monti? Era un salvatore della patria, non si doveva neanche osservare che gli italiani avevano il diritto di scegliere da chi essere governati dopo Berlusconi. Tutto un tripudio di inni e salmi, dal loden al treno preso dalla moglie... Mi occupo del servo encomio, ma, certo, c'è anche il codardo oltraggio: facile, adesso, dire di tutto della Fornero, o prendere a calci Berlusconi.

È mancato l'esercizio della critica.

Con la quale ci saremmo liberati prima di certi incapaci. O forse senza la cortigianeria della stampa, avremmo avuto governi un po’ meno peggio. L’adulazione è colpa grave: Dante i leccatori di culo li ficca nell'8° cerchio, tuffati nella merda.

Le cose continuano a peggiorare o c’è qualche schiarita?

Mi pare prevalgano gli automatismi: al Quirinale è arrivato Mattarella che è l'antitesi antropologica e politica di Napolitano. Chi esaltava quest'ultimo perché si impicciava di tutto e aveva sempre da dire la sua, adesso loda la riservatezza del nuovo presidente, che si limita al ruolo di notaio. Delle due l’una, no? C'è anche un appiattimento che corrisponde alle larghe intese. I lecchini ci sono sempre stati, ma c'erano anche gli scorticatori: oggi è sparito persino il contraddittorio destra-sinistra. Una parodia di pluralismo, certo, perché era giornalismo embedded. Però vedere oggi il governo incensato dai giornali di sinistra, di destra e di centro è preoccupante.

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