Toni Negri negli occhi di sua figlia
Un docufilm girato a Venezia, l’ideologo affaticato, lui e lei che si confidano: «Se ti sparano addosso, la gente inizia a dire: vogliamo anche noi rispondere»

«Volevo capirlo. Non l’ho più visto da quando avevo 14 anni». Tra un paio di settimane, alle Giornate degli Autori, durante la Mostra del Cinema di Venezia verrà presentato “Toni, mio padre”, il documentario diretto da Anna Negri che spiega: «Ho cercato di ricostruire l’itinerario umano e politico di una persona. Mi è stato detto così tanto di come era mio padre prima che io avessi veramente la capacità di capirlo. Io non l’ho più visto da quando avevo 14 anni. Questa è stata anche l’occasione di stare un po’ insieme, di capire come era andata quella vicenda».
L’intento è chiaro fin dal titolo. Il padre, suo padre, prima di tutto. Il racconto è quello di un confronto tra due generazioni, tra un mondo che c’è stato e quello che c’è ora. Gli ultimi mesi, Toni Negri, li ha vissuti a Venezia. Città che ha amato, luogo dove ha conosciuto sua moglie, dove è nata Anna. Accanto, Porto Marghera, i primi grandi scioperi. L’inizio di Potere Operaio.
Toni Negri, affaticato, tra le calli e tra le stanze di una grande casa, parla con la figlia. All’inizio quelle riprese dovevano essere il materiale per una ricerca, poi, complice anche il dialogo con l’amico documentarista Stefano Savona (autore de “Le mura di Bergamo”, probabilmente il più bel lavoro dedicato alla pandemia) si è trasformato in un documentario nel quale Anna è presente accanto a Toni, in un lungo intimo confronto.
«Savona mi ha aiutato tantissimo. Io non avevo mai fatto documentari, avevo tutto questo materiale. E’ stato lui a farmi capire che la nostra relazione era il “dispositivo” capace di raccontare una persona e un personaggio così complesso. Successivamente ho capito che se quella era la chiave, io stessa dovevo mettermi nell’inquadratura, così Stefano mi ha aiutato riprendendoci come lui sa fare, in modo discreto».
Forse è un caso o forse è un’astuta accortezza registica, ma nel documentario che dura 110 minuti, esattamente a metà film, al 55esimo minuto, compare una foto. E’ la famosa immagine usata da “L’Espresso” che al tempo titolò: “I guerriglieri”. C’è un ragazzo con le braccia tese, le mani stringono una pistola. La polizia all’orizzonte. Lì, in quel preciso momento, Anna sembra circoscrivere il cuore del suo lavoro. Come se quegli anni fossero un corpo. Ci sono i pensieri nati nelle teste, e gli atti che pulsano divenendo a volte danze, altre volte mani che stringono molotov. Il centro di tutto è il racconto di una relazione, lei sta parlando con lui, proprio di quella foto. Lei ha i suoi pensieri, lui prova a cercare delle risposte. Mentre scorrono quelle immagini di guerriglia sentiamo la regista che fuori campo racconta: «Ho 12 anni, su tutti i giornali che mio nonno porta a casa, in prima pagina, ci sono quei tizi con il passamontagna. Guardo quelle brutte foto in bianco e nero con la didascalia “Autonomi” e non riesco a capire qual è la relazione tra mio padre e quelle immagini. Si va in quella zona del cervello dove ci sono cose impronunciabili, cose che è meglio non investigare perché troppo difficili da capire».
Per Anna, quell’immagine rischia di cancellare tutto il positivo di quel periodo, per Toni se quei fotogrammi mettono così in crisi l’immaginario collettivo, allora bisognerebbe avere il coraggio di inserire altre immagini. Quelle della polizia di Cossiga che alzava il livello della guerriglia, quelle delle stragi di Stato.
«Se ci sparano addosso la gente inizia a dire “vogliamo anche noi rispondergli”», queste le parole di Toni Negri quando prova a raccontare il momento di svolta tra la contestazione e la rivoluzione armata. «Era molto difficile dire “stiamo attenti”. Avevamo sopravvalutato la nostra forza rendendocene perfettamente conto, ma nascondendocelo, e sottovalutavamo la capacità di provocazione e la massa d’urto che lo Stato avrebbe potuto mettere nei nostri confronti».
“Toni, mio padre”, prodotto con coraggio da Francesco Virga, Fedele Gubitosi e Traudi Messini, in uscita a inizio 2026 grazie a Wanted è un prezioso tassello sulla ricostruzione di un periodo molto complesso.
«Sugli anni di piombo gli unici che hanno fatto o tentato di fare un lavoro di analisi, di dare un senso, sono i figli, sia quelli delle vittime sia quelli di altri soggetti coinvolti- spiega Anna Negri - Il problema è che degli anni settanta non c’è stata una elaborazione storica, collettiva e culturale. Ora, magari, anche grazie a questo film spero che il pubblico possa trarre le proprie conclusioni su questa persona, Toni, mio padre»
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