Teatro Giovanni da Udine: Bevilacqua all’unanimità riconfermato direttore

La decisione del cda della Fondazione per i successi d’inizio cartellone. «Accetterò l’incarico soltanto dopo il colloquio con l’Accademia di Roma»

UDINE. Il professore arrivò con un piano. Il Giovanni da Udine, ma adesso si chiama semplicemente Nuovo - c'est plus facile -, andava un po’ storto, sbilanciato da una crescente disaffezione. Anni così.

Vuoi il momento no, vuoi l’abbonato in fuga, vuoi la bassa pressione, comunque in platea si stava larghi come su quelle spiagge di lusso con sette metri fra un ombrellone e l’altro. A teatro, però, è meglio la calca. Che non c’era già da un bel pezzo. Nel calcio li chiamano aggiustatori. Allenatori assoldati per dare un quadratura veloce alla squadra. Giuseppe Bevilacqua, stimatissimo docente di “Educazione alla voce” all’Accademia Silvio D’Amico di Roma, udinese, attore, scrittore, flemmatico uomo di cultura, accettò.

Disse che voleva riconsegnare ai friulani il senso di una teatralità multitasking, luogo dell’esibirsi e nel contempo casa, un peccato lasciare le luci spente in quel palazzo atipico di via Trento. E il cartellone? Popolare, leggero, sorridente. Ebbene sì, il professore l’ha vista giusta. Non è opinione personale, sarebbe ben poco professionale. Il foglio della verità lo rileva. Qualche centinaio di abbonamenti in più e soprattutto il boom dei biglietti diciamo sciolti. I sold out di My Fair Lady, di Le voci di dentro e per Paolo Poli garantiscono da soli senza scomodare un notaio. Il contratto di Bevilacqua scadeva il 31 dicembre.

Il cda del Nuovo ha sempre sostenuto la tesi del breve tratto, eventualmente si proroga. Avendolo davanti, il prof, con dei caffè fumanti sul tavolo, vien comodo chiederglielo.

Quindi, direttore? «Non dovrei dirlo io, a questo punto però... il consiglio d’amministrazione ha riconfermato la nomina all’unanimità. Non nego una certa gioia, ma prima del mio sì definitivo devo concordare con l’Accademia modi, tempi, disponibilità eventuale. La cattedra impone doveri primari, spero sia compreso ciò. Alla riapertura della D’Amico incontrerò la dirigenza e soltanto poi scioglierò la riserva. Premetto che l’avventura udinese è stata molto stimolante e mi auguro non finisca. Anzi. Buone impressioni, certo, conforta vedere il foyer popolato, è il segno di un amore ritrovato».

Vent’anni fa l’aggregazione faceva parte del movimento. Il tempo se l’è divorata, lasciando sul campo l’isolamento, ognuno per sè, Dio per tutti. Ben più dura per chi organizza eventi ricomporre le masse.

«Non servono inchieste di mercato per stabilire la linea ottimale - spiega Bevilacqua - ho semplicemente assorbito i pensieri del pubblico per cogliere la necessità collettiva. Il teatro non deve mai escludere, semmai includere e bisogna fare i conti con i fondamentali della prosa moderna da Molière in su: intrattenimento intelligente, non elucubrazioni. Leggerezza ed eros, emozioni e sentimenti condivisibili. Uscendo dallo spettacolo ci si deve sentire euforici, non abbattuti nello spirito».

E subito un’altra verifica. Dal 16 gennaio sarà il pirandelliano L’uomo, la bestia e la virtù a confermare la parabola ascendente della stagione. «La coppia Vetrano/Randisi, puntualizza Bevilacqua, oltre a premi e a celebrazioni, ha saputo leggere la modernità nella tradizione con un linguaggio d’oggi. Ci insegnano che è arbitrario distinguere sperimentazione, avanguardia, classici. Quando è grande, è soltanto teatro».

E per non lasciare l’abbonato in ultima fila - non voglia sembrare uno slogan Rai - il Nuovo ha predisposto alcuni incontri sull’umorismo di Pirandello. Giusto una spolverata di sapere in più da tenere in tasca.

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