Su Netflix svetta Curon il paese sommerso raccontato da Balzano «Ma è una storia gotica»

L’autore del romanzo che ha fatto incetta di premi commenta il film tv: «L’unica cosa in comune con il mio romanzo è l’acqua del lago» 

l’intervistA

LUCIANO SANTIN

Quando Netflix ha varato Curon, simboleggiata dallo spettrale campanile emergente dalle acque del lago di Resia, qualche spettatore è rimasto deluso. Perché si è trovato davanti a un fantasy horror, invece della trasposizione di Resto qui (Einaudi) il potente romanzo di Marco Balzano che ha fatto incetta di premi (tra cui il tolmezzino “Leggimontagna” e il Dolomiti Unesco a Pordenonelegge). Un libro tradotto in quindici lingue, entrato nella top ten di Der Spiegel subito dopo l’uscita in Germania.

Raccontando la storia del paesino sudtirolese sacrificato a un invaso idroelettrico, “Resto qui” gli ha dato notorietà di tutti i generi, innescando altri docufilm, come il bolzanino Das versunkene Dorf, che guarda alla storia ma punta agli sviluppi turistici.

Eterogenesi dei fini e avvio di una piccola valanga di notorietà, Balzano. Vista la serie tv?

«Non so se “Resto qui” ha originato gli altri lavori. Cronologicamente l’ho iniziato nel 2015, ma non facciamo ricerche da “paziente zero”. In quanto agli episodi di Netflix ne ho guardati un paio, per curiosità, scoprendo che l’unica cosa in comune con il mio libro è l’acqua del lago. È una cosa gotica, soprannaturale».

Comunque sia, l’occasione per il romanzo, qual è stata?

«Uno sbaglio di percorso in Val Venosta. Ho visto il lago, il campanile, gente che faceva sport o picnic. Al di là della forza impattante dell’immagine, mi ha colpito la frattura tra il “sotto” e il “sopra”: un paese sprofondato nell’acqua di un lago, e, sulle rive, turisti vocianti e inconsapevoli».

Di qui le ricerche. Accolte come?

«Con la naturale diffidenza verso il forestiero arrivato a frugare in una ferita tanto dolorosa da essere stata votata al silenzio. I pochi testimoni, ancora segnati, dopo tanti decenni, preferivano tacere. I figli e nipoti sapevano poco, sentivano la vicenda come qualcosa di lontano. Poi, col tempo e la buona volontà da ambo le parti, i fatti e i sentimenti sono riaffiorati. E ne è nato, col libro, un’amicizia vera. Nei tanti incontri in Sudtirolo i giovani mi hanno ringraziato per aver restituito loro un pezzo di storia patria».

Importante ed emblematico, perché racconta del saccheggio delle terre alte per gli interessi della pianura.

«Al di là delle vicende umane di “Resto qui”, che sono di fantasia il nodo è quello: vanno bene migliori condizioni di vita che comportano uno sradicamento, imposto con violenza antidemocratica? Ricordiamo Pasolini, che teorizzava lo sviluppo senza progresso. Ho messo in bocca al marito di Trina, la protagonista del libro, la frase di uno dei cinque superstiti della vana lotta per salvare il paese: «Quando guardo il lago, non vedo l’acqua. Vedo la vecchia casa di famiglia, e mio padre che porta le mucche all’abbeverata».

Settant’anni dopo l’inabissamento…

«Mi sono detto: quest’uomo ha acquisito una vita più agiata, al prezzo di un trauma mai superato. Vale la pena di scriverne. Poi un’altra spinta, in questa direzione, me l’ha data la Montecatini, realizzatrice della diga che ha creato il lago. Ha respinto decine di richieste di consultazione degli archivi. Non ho neanche potuto avere un colloquio, una spiegazione, con nessuno. Chiusura totale. Come quello dei vecchi di Curon, che non volevano parlare perché avevano subito la violenza, il silenzio della Montecatini mi ha fatto capire che il tema era di attualità, e mi ha stimolato alla scrittura».

Il prossimo romanzo, quando uscirà?

«È pronto, ma, anche per gli slittamenti causati dalla pandemia, andrà in libreria all’inizio del 2021. Non anticipo nulla, se non che avrà di nuovo per protagonista una donna».

Marco Balzano, ormai autore affermato, potrebbe fare a meno di dell’insegnamento. Invece maniene la sua cattedra alla Belleville di Milano…

«Sono sicuro che l’andare a scuola ogni mattina abbia un’utilità sociale, mentre non sono certo che tutti i giorni passati a scrivere portino a dei risultati. Poi è un modo per tenere i piedi per terra, e non rischiare di rimanere prigioniero delle mie parole, una prospettiva che mi spaventa molto». —

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