Storie di cristiani in fuga verso Maometto: quando “farsi turco” era conveniente

Nei lunghi secoli del confronto mediterraneo tra cristianità e Islam uno dei fenomeni che scosse con maggiore inquietudine le coscienze occidentali fu il passaggio di tanti cristiani alla religione di Maometto. Non si trattava delle conversioni più o meno forzate alle quali convenivano coloro che venivano catturati in battaglia e finivano incatenati al remo, oppure le donne oggetto di razzia che, magari perché sedotte o incinte, cercavano nella condivisione religiosa una nuova identità. Il “farsi Turco” fu un fenomeno costante: singoli individui, nuclei famigliari o, in alcuni casi, interi gruppi sociali che per una scelta consapevole abbracciavano l’”Alcorano”, rinnegavano la vera fede preferendovi il “falso” profeta Maometto e si sottomettevano al Sultano.

Molti si sono chiesti quanto, in simili decisioni, contasse l’attrazione dell’Islam e quanto piuttosto quella verso una civiltà per alcuni aspetti radicalmente diversa da quella europea. Nel suo studio magistrale sul Mediterraneo nel secondo Cinquecento il grande storico francese Fernand Braudel individua alcune motivazioni ricorrenti: opportunità di lavoro per tecnici e operai qualificati, la “vertigine dell’apostasia” in viaggiatori e addirittura membri del clero in crisi spirituale, la violenza dei conflitti di religione nell’Europa cristiana a confronto della tolleranza relativa concessa nell’Impero Ottomano; oppure le relazioni tra uomo e donna e i costumi sessuali, aggiungeremmo noi, più liberi in Oriente che nell’Italia e nell’Europa della Controriforma.

Rimane spesso impossibile intuire, magari solo in base al nome di un “rinnegato” presente nelle terre della mezzaluna o, nei casi di successo, di un suo incarico governativo presso la Sublime Porta, cosa vi fosse alla base di una scelta di campo così drastica. Nel suo fondamentale studio su “Venezia e i turchi”, Paolo Preto ha provato a ricercare nelle deliberazioni di governo della Serenissima, lo Stato che funse per tre secoli da cerniera tra cristianità e Islam, e nelle opere di studiosi e pensatori veneziani i contorni di tale fenomeno.

Il favore delle classi povere delle isole greche per i Turchi sembra motivata dalla minore fiscalità dell’Impero rispetto a quella di Venezia, tanto da dar vita in alcuni casi, come nelle guerre di Cipro (1570-73) e di Candia (1645-69), a vere e proprie ribellioni antiveneziane. La fuga dalla miseria sembra alla base della migrazione costante verso le terre della mezzaluna di nuclei famigliari dalmati o greci: ancora nell’anno 1700 mille uomini e settecento donne dall’isola greca di Tino si trasferivano a Smirne in Turchia. Motivazioni che sollevano interrogativi sul ruolo così esclusivo che viene assegnato per quest’epoca alla fede e al credo religioso.

Nelle storie individuali, magari di coloro che incappano nelle maglie del Sant’Uffizio e di cui conosciamo la biografia, le ragioni tendono a complicarsi ancora di più, tra convenienza e opportunità, sopravvivenza e libertà. Sono storie di abiure di comodo per sfuggire alle sevizie e alle privazioni della prigionia, come quelle dei soldati, in attesa di una riconciliazione con la Chiesa, una volta recuperata la libertà. Altre volte si tratta di apostasie esteriori, oppure ritorni nel grembo della cristianità di donne catturate da corsari e allevate alla turca. Oppure peripezie incredibili di vagabondi, delinquenti, marginali che si muovono tra territori e confini politici e religiosi come nei vicoli di un ghetto metropolitano e cambiano sovrano e Dio solo per salvarsi la pelle. O ancora percorsi incredibili di avventurieri opportunisti, di mercanti in grado di adattarsi ad ogni comunità e contesto, di self made men che trovano maggiori opportunità di successo nella politica e nella società ottomana, dove la nobiltà di sangue di fatto non esisteva e la mobilità sociale verticale era molto più agile, che in patria.

È il caso del più noto rinnegato europeo, quell’Alvise o Ludovico Gritti (1480-1534), figlio illegittimo del grande doge Andrea, al quale Gizella Nemeth Papo e Adriano Papo (già docente a Udine) hanno dedicato qualche anno fa un informatissimo libro. Marchiato a Venezia come illegittimo, Ludovico ritorna a Costantinopoli dove era nato, costruisce una fortuna economica vivendo come un visir nella sua corte, si converte all’Islam e aspira ad un ruolo politico europeo, puntando a conquistare la corona d’Ungheria, alla quale tuttavia non arriverà: un principe rinascimentale machiavelliano, un personaggio shakespeariano. In conclusione, nelle pieghe di ogni storia umana rimane nascosto l’insondabile, ciò che resiste a ogni ispezione storiografica o pubblica: il rapporto individuale con l’Assoluto che sfugge, oggi come un tempo, ad ogni possibilità di giudizio e spesso anche solo di comprensione. –
 

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