Arturo Brachetti a Pordenone: «Sarà un incontro ravvicinato con il pubblico»

Il trasformista più celebrato del mondo porterà il suo talk al Verdi il 24 luglio. «Il ciuffo un suggerimento di un regista per uno spettacolo di Shakespeare

Gian Paolo Polesini
Arturo Brachetti
Arturo Brachetti

Sarà vestito, eh certo, ma Arturo Brachetti — come si suole dire — si metterà a nudo per il pubblico del teatro Verdi di Pordenone. Chi c’è, c’è. Serata special e unica. Giovedì 24 luglio alle 21, il proscenio ospiterà un grande artista, lui, ma non le decine di personaggi che sempre lui fa solitamente apparire e scomparire. “Arturo racconta Brachetti, il talk tra vita e palcoscenico” è la proposta estiva dell’ente teatrale pordenonese che coinvolge il trasformista più celebrato al mondo.

Torinese di nascita, adottato dai cinque Continenti, osannato in Francia, nessuno come lui. Fregoli, il grande Fregoli, abbandonò il teatro nel 1922 e, da allora, andò in scena il vuoto di questo varietà fantasmagorico finché arrivò quel “matto” di Arturo che proprio al collegio salesiano San Filippo Neri di Lanzo scoprì di avere un incredibile talento. E così cominciò a giocare con i costumi del teatro. Finché…

Come sta, Brachetti?

«Sto meglio adesso di quando avevo ventotto anni».

E quanti ne ha?

«67 verso i 68».

Un ragazzo. Senta, uno show atipico quello che vedremo. Sveliamo qualcosina?

«Ma volentieri. Sarà un incontro ravvicinato, come se il pubblico gustasse in mia compagnia un lungo aperitivo. Io passerò in platea e in balconata con un contenitore dove la gente lascerà cadere i foglietti con le domande. Che potranno essere legali, illegali e porcelle. Non riuscirò a leggerle tutte, ma spero tantissime. Ecco, questo sarà. Racconterò i must della carriera traendo suggerimenti dal mio gigantesco data base. Ho lavorato pure con la donna ignifuga, pensi lei».

Oddio, e chi è la donna ignifuga?

«Nel 1981 facevo parte di un poetico spettacolo vagamente felliniano a Vienna. Un mese e mezzo di cartellone che superò l’anno per il successo pazzesco. ‘Sta signora si dava fuoco e non bruciava. Mah. La gente si entusiasmò con i numeri perché dal 1946 il genere era stato bandito in quanto molto amato dal nazismo e, quindi, oscurato per decenni. Noi abbiamo restituito, in un certo senso, tutto il tesoro culturale sottratto al popolo tedesco».

Già allora lei proponeva rapidissimi cambi d’abito?

«Diciamo una quindicina, che mi portavo dietro dal trionfo parigino del “Paradise Latin”, 1979. Feci un provino e il direttore impazzì. Maurice Béjart veniva a vedermi tutte le settimane».

Quindi a Pordenone arriverà senza il suo immenso guardaroba?

«Eh, già. È un talk. Però qualche esibizione la regalerò. Come li chiamo io: numeri prêt-à-porter».

Lei ha lavorato anche col Quartetto Cetra?

«Eccome no. Una fortuna sfacciata. Si ricorda di “Al Paradise” di Antonello Falqui? Ecco. Io lo sognavo da bambino quel regista che firmava cose bellissime e poi lo incontrai. Un’emozione infinita. E con i Cetra, mamma mia. E anche con Wanda Osiris. Che mondo meraviglioso. Adesso capisce quanti ricordi ho messo assieme?».

Vive sempre nella sua casa magica?

«Naturalmente. Pareti che si muovono, passaggi segreti, il frigorifero pazzo. A Torino sono confluiti recentemente decine e decine di maghi per uno dei tanti incontri internazionali sull’illusione. Molti avevano sentito parlare del mio appartamento particolare e sono stato costretto a organizzare delle visite guidate».

Si narra che lei conservi nei suoi armadi 450 vestiti.

«È corretto. Non butto via alcunché. Se ne stanno appesi perfettamente in ordine».

Quante persone conoscono i suoi trucchi, Brachetti?

«Poche. I miei due assistenti, ovviamente».

Non teme che scivoli fuori qualche rivelazione?

«Direi di no. Loro lavorano con me da tantissimo tempo, sono degli amici. Non mi tradirebbero mai. Ad altri, invece, ho fatto firmare un contratto dove è chiaramente scritto che il silenzio è d’oro».

Tornerà al Verdi con “Cabaret-Il musical”?

«Credo si possa dire, sì».

E il suo mitologico ciuffetto? Vogliamo una volta per tutte capire l’origine di quel vezzo?

«Un’eredità del signor Guglielmo, ovvero William Shakespeare. Per la messinscena di “Sogno di una notte di mezza estate” il regista mi suggerì quella pettinatura stravagante, che mi piacque parecchio, e la conservai finita la tournée. Ancora oggi sta bello dritto dalla mattina alla sera. Notte compresa». 

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