«Sono un benshi, il raccontastorie del muto» I Trailers/ Video - Foto

PORDENONE. Parlando con la gente, a volte chiedi: «E che fai di bello nella vita?» Provate a domandarlo a Ichiro Kataoka. «Il benshi», vi risponderà. Benshiche? Vabbé, in Giappone non fanno le facce strane se glielo dici, anzi, conoscono il mestiere. In Occidente, be’, comprensibile l’espressione con l’occhio tirato. In soldoni, il benshi dà voce e interpretazione al cinema muto. Se serve, lui scrive pure i dialoghi. Si piazza sotto lo schermo e fa il suo show. Curioso.
Ecco, tipo doppiatore, ma live. Un raccontastorie da angolo di piazza con tanto di treppiede per reggere la trama illustrata. Bene. Non sappiamo per quale strana associazione orientale, ma pensi al benshi e t’immagini un vecchietto di lunga navigazione teatrale, un tizio con pizzetto bianco, magrolino, di bassa statura, occhi mandorlati e babbucce ai piedi. L’ultimo che ancora trattiene l’arte millenaria. Balle. Ichiro è un giovanotto under trenta, t-shirt con spiaccicato sopra un cartoon, giacca blu, insomma, uno regolare, uno nuovo, non un decrepito. E com’è ’sta storia? Fa capire di non aver avuto molti amici quand’era un ragazzino e così, per passare il tempo ha bussato al portone di una scuola seria.
Alle Giornate non fa il turista, macché. Ieri sera si è sgolato sul palco del Verdi raccontandoci la sua versione di quattro filmetti. Inutile metterci il titolo. Tutta roba nipponica, a parte The Blacksmith di Buster Keaton. Attenzione, però. Tra i prescelti spiccava una storiella piccante di matrice lesbo. «Un amorino fra una giovane sposa e sua cognata» – spiega. Nulla di così trasgressivo. Si usava la pratica per l’avvicinamento al sentimento vero. Tant’è che molti film sguazzavano appositamente nei collegi femminili».
Lo mettiamo alla prova. Anche se stiamo chiacchierando in un bar del centro, gli chiediamo una dimostrazione improvvisata. Senza pellicola, of course. Non ci pensa molto, in effetti. E parte come un treno. «Questo potrebbe essere il tono gusto per il dialogo di una commedia. E quest’altro… per un dramma. Se dovessi, invece, rappresentare una donna anziana...», però. Alza il volume.
«Bla bla bla, se fosse un genere epico. Da noi vanno come il pane». Non soltanto ci azzecca con le tonalità, accompagna pure con ampia gestualità. In fondo è una specie di attore, anzi, lo è. Altro problema, caro signor benshi. Il pubblico, chi guarda? Lei o il film? O un po’ lei e un po’ il film? Non trascurabile come questione.
«Dipende dalla fama dell’intrattenitore. Ce ne sono certi talmente famosi da scalzare il regista sul cartellone, facendolo scendere di una posizione. Ognuno ha facoltà di scelta. Chi preferisce seguire la storia, chi la performance. L’ideale sarebbe fifty-fifty».
Ah, ecco spiegato l’arcano. Ichiro l’ha buttata sullo struggimento personale, del bimbetto messo in disparte dal branco e per rivalsa... Lo dica chiaro: è la gloria che cercava! «Non si diventa ricchissimi, ma si vive bene», ci assicura sorseggiando un caffè liscio. Un paio di spettacoli la settimana riesco a farli. Non è mica una passeggiata, sa? Dietro c’è un lavoro accurato. Di scrittura e di movimento scenico seppure minimal».
Ci saluta e scappa al “cinema” Verdi. «Approfitto per dare un’occhiata. Non ti capita di vedere dappertutto certe rarità come qui».
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