Sergio Cammariere a Cervignano: «Nelle mie canzoni fondo suono e poesia»
Il pianista e cantautore sarà venerdì al teatro Pasolini. Il concerto in duo con la violoncellista Giovanna Famulari

«Ho suonato tante volte a Udine, a Gorizia, ricordo bellissimi concerti in Friuli in questi trent’anni di attività»: Sergio Cammariere, pianista, compositore e cantautore che fonde jazz d’autore, classica, suggestioni sudamericane e la grande tradizione cantautorale italiana è in concerto venerdì, alle 20.45 al Teatro Pasolini di Cervignano, serata a cura di Euritmica. L’artista calabrese sarà in duo con la violoncellista triestina Giovanna Famulari.
Cammariere cosa proponete a Cervignano?
«Ci sarà un’atmosfera raccolta, intima e meditativa, un dialogo tra il mio piano e voce e il violoncello di Giovanna: come diceva anche Paolo Conte “in due si sbaglia meglio” e quindi preferisco suonare con lei. Ascolteremo i brani più iconici come “Tutto quello che un uomo”, “Tempo perduto”, “Dalla pace del mare lontano” ma anche pezzi più cameristici, strumentali. Si respira un’aria diversa, è un abbraccio con il pubblico».
La collaborazione con Famulari?
«Ci siamo incontrati all’Officina Pasolini di Roma dove presentavo il mio libro “Libero nell’aria” pubblicato da Rizzoli, la mia biografia non romanzata uscita quattro anni fa. Poi ho voluto coinvolgerla in alcune mie incisioni, infatti è presente sia in due brani nell’album “Una sola giornata” che nel nuovo, uscito il 28 novembre, “La pioggia che non cade mai” dove è in sette brani e ha curato anche l’orchestrazione degli archi, mettendo a posto le partiture che avevo composto».
Cosa racchiude il titolo “La pioggia che non cade mai”?
«Il singolo omonimo è un jazz green o eco jazz: ci ricorda i danni che stiamo affliggendo alla natura. È un pezzo di denuncia, scritto assieme a Roberto Kunstler, una ballata visionaria che invita a riflettere sulla necessità di un atteggiamento diverso dell’uomo rispetto alla natura, una metafora del tempo che stiamo vivendo. Poi ci sono canzoni d’amore, anche molto riflessive, minimaliste se penso a “La Voce del Cuore” o a “Davanti all’infinito” c’è veramente una bella ricerca di suono e di poesia. Ne vado fiero, è uno dei miei lavori più maturi e consapevoli».
Come nascono le sue canzoni?
«Quasi tutte prima al pianoforte, ho la consuetudine di registrare quotidianamente le mie improvvisazioni e poi costruiamo i testi con Kunstler. Con lui interagisco in tutti gli aspetti musicali e letterari, lavoriamo come fossimo una band. In alcuni casi il testo nasce prima della musica come in “L’amore è tutto”. C’è sempre una doppia lettura sia dei testi che delle musiche, come avrebbe detto Umberto Eco è “un’opera aperta”, con strutture che si possono allargare e stringere. Il successo dei miei concerti deriva dal fatto che non ripropongo mai il brano nello stesso modo, sono un improvvisatore».
Nel 2003 era a Sanremo con “Tutto quello che un uomo”, ripresa da Mina. Oggi il Festival è cambiato?
«All’epoca il direttore artistico era Pippo Baudo e non c’erano più di diciotto cantanti. La canzone aveva un ascolto diverso rispetto al 2026 con le sue trenta proposte. È volto all’intrattenimento, allo show ma di musica ce n’è poca. Dell’anno scorso ci ricordiamo una canzone? Non credo. Entrano in classifica ma non lasciano un’impronta. È cambiata la fruizione, i giovani vogliono diventare famosi senza gavetta, i pezzi si creano con l’IA, la velocità va a discapito della musica stessa, della sostanza».
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