Salvatores: la mia prima regia fu la rivoluzione di Ariane

UDINE. Per anni in Italia il nome di Ariane Mnouchkine è stato legato a “1789”, una travolgente narrazione spettacolare della rivoluzione francese vista dalla parte del popolo, che ebbe il suo debutto al Piccolo Teatro di Milano nel 1970 e che dal 1975 e per diverse stagioni girò tutta la penisola nella versione italiana firmata da Gabriele Salvatores per il Teatro dell’Elfo, (arrivò anche da noi, nel 1976 a Staranzano portato da chi scrive, all’epoca allievo della Scuola del Piccolo Teatro e impegnato in un Collettivo di Organizzazione teatrale che si occupava della circuitazione dello spettacolo... e fu la prima volta dell’Elfo in Friuli!).
«Mnouchkine – racconta Salvatores – era già piú che affermata nei circuiti internazionali. Ma sicuramente il nostro “1789” contribuí non poco a farla conoscere al grande pubblico, quello non specialistico dei festival».
Fu alla Biennale di Venezia nell’estate del 1975 in Campo San Trovaso, alle recite de “L’age d’or”, lo spettacolo nel quale la tradizione della Commedia dell’Arte serviva a Mnouchkine per raccontare la vita e i patimenti nei cantieri francesi di un Arlecchino algerino alla prese con un trucido Pantalone capitalista, che quelli dell’Elfo, agli esordi, decisero di chiedere alla regista francese di diritti di “1789”.
«Un copione che ci corrispondeva: venivamo – ricorda Salvatores – da una compagnia agit prop, il nostro era un teatro fortemente politicizzato epperò cercavamo il modo di fare teatro politico invece che politica col teatro. Stavamo scoprendo sulla nostra pelle le radici del teatro e in particolare la commedia dell’arte per cercare di attualizzarle e raccontare la realtà di allora attraverso schemi popolari e antichi».
Ma, come ha raccontato Elio De Capitani (altro pilastro fondatore dell’Elfo), quando lei e Ferdinando Bruni andaste,a chiedere i diritti di “1789”, ci fu un rifiuto.
«È vero e la cosa ci amareggiò parecchio, ma quando ce ne stavamo andando mogi, Mnouchkine ci richiamò e ce li concesse: ci aveva visto tristi, e si ricordò di come si sentí lei quando le vennero rifiutati da Wesker i diritti de “La cucina”. E lí iniziò un rapporto, anche umano, molto fecondo con Mnouchkine e i suoi attori, che vennero a lavorare con noi e noi andammo a lavorare con loro alla Cartoucherie di Vincennes».
Il risultato fu il “vostro” “1789”, spettacolo che tra l’altro impose l’Elfo definitivamente sulla scena italiana. «Sposammo la tesi dello spettacolo, e cioè che il popolo era stato depredato della rivoluzione, ma ciò che volevamo era raccontare questa storia non in modo didascalico, bensí ponendo al centro la spettacolarità, il divertimento, il piacere del teatro. E tutto questo lo dobbiamo alla lezione della Mnouhckine».
Che fu riferimento importante, come conferma anche De Capitani, per i giovani poco piú che ventenni del gruppo milanese, non solo dal punto di vista teatrale, ma proprio nel modo di farlo, viverlo quotidianamente il teatro.
«Loro – spiega Salvatores – erano una vera e propria comune, cosí come lo era l’Elfo, non solo perché le storie individuali private si mischiavano con quella professionale, ma proprio perché si viveva davvero insieme. Questo era un grande vantaggio che avevamo noi giovani rispetto ai giovani di oggi e cioè che le esperienze erano molto piú collettive, condivisibili e condivise e quindi piú rassicuranti, non ti sentivi solo».
Maestra di teatro, ma anche di vita, e qui Salvatores si abbandona al ricordo di quando, lui presente, un componente del Theatre du Soleil, in quel momento particolarmente fuori di testa, minacciò tutti con un coltello: «Ariane lo affrontò con calma, gli parlò, poi insieme scavarono una buca in cui sepellirono l’arma improvvisata».
Come altri pochi maestri della scena europea, e qui Salvatores cita Ronconi, Brook e Strehler, la regista oggi premio Nonino, ha rivoluzionato il linguaggio teatrale, superando, a esempio, la divisione tra palcoscenico e platea, permettendo di portare il teatro in posti i piú disparati, soprattutto non deputati e oggi impensabili, viste le rigidità burocratiche, che spesso lo penalizzano.
«Mnouchkine – conclude Salvatores – mise in pratica un concetto di teatro diverso da quello che c’era stato fino ad allora. E che mi pare non ci sia già piú dal momento che è da un pezzo che il teatro ha smesso di essere al passo con i tempi».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto