Saba Anglana: «La musica purifica i drammi del mio passato»

Stasera al Concordia di Pordenone il concerto, per il festival di musica sacra, della cantante con radici etiopi, ma nata a Mogadiscio

PORDENONE. La deportazione, la ferita, e la guarigione. È questo il percorso di Abebech, fiore che sboccia, concerto di apertura con Saba Anglana, oggi, alle 20.45 nell'auditorium Concordia di Pordenone a ingresso libero, del Festival internazionale di musica sacra di Pordenone. Giunto alla sua venticinquesima edizione, il festival è promosso da PEC - Presenza e Cultura, curato da Franco Calabretto ed Eddi De Nadai, e con il coordinamento di Maria Francesca Vassallo.

E se la sacralità appare come la naturale collocazione della manifestazione pordenonese, va detto che questa è intesa in modo ampio, inclusivo e coinvolgente. Prova ne è il percorso con cui l'artista dalle radici etiopi, ma nata a Mogadiscio in Somalia, inaugura l'edizione 2016 del festival.

«È il punto di arrivo di un percorso iniziato diversi anni fa - ci dice dalla Val di Susa, luogo in cui vive e che ha scelto per la sua dinamica energia positiva - quando mi sono accostata al concetto di sacralità partendo da un elemento molto fisico come l’acqua. L’occasione è stata un viaggio in Etiopia durante il quale ho provato una sensazione allo stesso tempo fisica e spirituale. In quella circostanza mi è apparso chiaro come l'acqua fosse un elemento trasversale, simbolico, che rimanda a un non visibile e soddisfacente».

Sul palco lei è accompagnata da Fabio Barovero, autore e arrangiatore delle musiche, alla fisarmonica, piano e live electron ics, noto per essere stato componente dei Mau Mau, oltre a Federico Marchesano al contrabbasso e Mattia Barbieri al drum set.

Ma in pratica cosa succede? «Succede che racconto una storia che mi appartiene, attraverso una decina di brani uniti da un filo conduttore, generata da un evento traumatico che risale alla fine degli anni 30, quando mia nonna fu rapita e deportata in Somalia dai militari fascisti che avevano occupato la nostra terra. A Mogadiscio si è poi sviluppata la mia famiglia, segnata però da continui sradicamenti e dalla ferita della deportazione. Un momento traumatico che può essere guarito non con le tradizionali terapie, ma attingendo al mondo simbolico che è poi un mondo universale."

- Ma lei, che rapporto ha con la religiosità?

«Attingo veramente a tutte le religioni, strumenti imperfetti attraverso cui attingere a questo mondo simbolico e ricchissimo. Mi appassionano molto i testi sacri, e sono convinta che oggi manchi l'idea del sacro, sostituito ahimè con il culto del brand e delle marche. Ma ho fiducia in una realtà nuova che conduca davvero, per chi lo vuole, alla guarigione delle proprie ferite».

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