Remo Girone racconta Simon Wiesenthal, il cacciatore di nazisti

Lo spettacolo al Nuovo tratto dal testo di Giorgio Gallione. L’attore: «Sarà una wunderkammer della memoria»

Mario Brandolin
Remo Girone nello spettacolo al Nuovo di Udine @salvatorepastore
Remo Girone nello spettacolo al Nuovo di Udine @salvatorepastore

UDINE. In prossimità del Giorno della memoria, il Teatro Giovanni da Udine oggi alle 20.45 e il 25 alle 11 e il Centro Civico di San Vito al Tagliamento il 26 alle 20.45 presentano “Il cacciatore di nazisti”, un testo che Giorgio Gallione, anche regista, ha tratto dagli scritti e dalle memorie di Simon Wiesenthal.

Un sopravvissuto all’Olocausto, che una volta uscito vivo da quell’inferno, decise di dare la caccia ai più spietati criminali nazisti consegnando al giudizio del mondo e alla giustizia circa 1.100 criminali nazisti, responsabili della morte di oltre 11 milioni di esseri umani, di cui ben sei di ebrei. «Il cacciatore di nazisti è un tentativo epico e civile per combattere la rimozione e l’oblio», afferma Giorgio Gallione.

Che era poi quello che speravano i nazisti, convinti peraltro che, continua Gallione, «nessuno avrebbe creduto ai racconti di coloro che fossero eventualmente scampati alla morte nei lager, tanto erano mostruosi i fatti che lì vi accadevano. Argomento che le SS usavano come potente arma psicologica per fiaccare di più l’animo degli internati nei lager».

E preservare «la memoria di quello che è accaduto – gli fa eco Girone che è l’interprete – è il compito che si era prefisso lo stesso Wisenthal, convinto che qualora si perdesse traccia di quanto accaduto, lo stesso potrebbe ripetersi».

Che uomo era Wiesenthal? Ancora Girone: «Era un uomo modesto, non si è mai considerato un eroe, dotato di una certa dose di autoironia, che in fondo è da sempre l’arma di salvezza degli ebrei. Molto determinato però nella ricerca dei criminali nazisti. Una determinazione senza rabbia o desiderio di vendetta: quello che lo muoveva era soltanto i bisogno di fare giustizia. Anche se Wiesenthal lamentava di averne scovati solo il 5% di quanti erano implicati nello sterminio degli ebrei. Un lavoro, meglio una missione la sua, che non deve essere stato per niente facile dovendo muoversi tra molte reticenze minacce e boicottaggi, anche violenti, come la bomba con cui i neonazisti gli gli fecero saltare la casa».

Lo spettacolo è ambientato nel 2003 a Vienna, al Centro di documentazione ebraica fondato da Simon Wiesenthal, qui evocato da una sorta di installazione d’arte, con pile di schedari, scaffali che archiviano 22.500 nomi di SS, una scrivania ma anche con elementi allusivi, come una parete con degli occhi e tante fotografie. «Una wunderkammer della memoria – così Girone – in cui l’uomo si rivolge al pubblico, ripercorrendo episodi emblematici di 58 anni di ricerca e smascheramento dei nazisti fuggiti all’estero con la complicità di tanti e nella stessa Germania spesso sotto falso nome. Episodi come quelli che hanno portato alla cattura tra i tanti di Karl Silberbauer, il sottoufficiale della Gestapo che arrestò Anna Frank, di Franz Stangl, comandante dei campi di Treblinka e Sobibor, e di Adolf Eichmann, l’uomo che pianificò quella che Hitler amava definire “la soluzione finale”. Ma anche le testimonianze di coloro che hanno vissuto l’esperienza terribile dei campi, come quella narrata da Masha Rolnikaite, una giovane lituana nel libro Devo raccontare. Diario 1941-1945. O il messaggio, che leggo sul finale, messaggio realmente ritrovato da Wiesenthal tra gli effetti personali di una giovanissima vittima: ‘Non dimenticatemi mai. Mi fido di voi’, a ribadire l’assoluta necessità di mantenere vivo il ricordo, la memoria del genocidio e della Shoah». —

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