Quando sul colle del castello di Udine c’erano quattro chiese ad accogliere i fedeli

Erano dedicate a San Lorenzo, San Michele e San Rocco Ma c’era anche la cappella privata nel palazzo del patriarca

pAOLO MEDEOSSI

In origine tutta Udine era raggrumata sul colle che si eleva al suo centro e sul quale si è tanto fantasticato nei secoli, arrivando ad attribuire la sua nascita (tramite leggenda) ad Attila che, si disse, trasformò il colle in trono dal quale ammirare le fiamme di Aquileia distrutta. Invece quel cocuzzoletto a 138 metri sul livello di mare è solo l’esito di movimenti naturali avvenuti sotto terra, che da un lato avevano elevato e dall’altro abbassato, creando la depressione di Giardin Grande, un tempo laghetto paludoso. L’aspetto interessante è poi capire cosa sia accaduto sul colle simbolo del Friuli, dove la città nacque e si sviluppò quale villaggio paragonato, nel 1182, a Percoto, Buttrio od Orsaria. Fu l’avvento dei patriarchi di Aquileia, giunti qui dopo una sosta a Cividale, a fare di Udine una città con le falde del colle che andarono ricoprendosi di case e palazzi, allargatisi sempre più verso la campagna.

Evoluzione nota, certo, mentre la notizia curiosa di oggi è che in quel lembo di cielo sopra Udine c’erano ben quattro chiese, di cui adesso resta solamente una, che è poi la più antica e famosa, ovvero Santa Maria di Castello. Questa è una piccola grande storia che emerge in giorni nei quali si va a indagare sui luoghi di culto dedicati a chi veniva invocato contro le pesti e le epidemie ricorrenti nel medioevo, e davanti alle quali la popolazione, indifesa, pregava fervidamente aspettando un aiuto dal cielo. Si sviluppò così tutta un’architettura che nasceva attorno all’esigenza di devozione e protezione. Lo si nota in tante chiese e chiesette e anche nell’arte che le addobbano, con l’assidua presenza di San Rocco e San Sebastiano, i due più sollecitati quando i contagi dilagavano. Una chiesa per San Rocco sorse accanto a Santa Maria di Castello, e fu appunto la quarta a venire eretta lassù, in una sequenza illustrata da Gianpaolo Trevisan in un saggio del 1994 sulla rivista Memorie storiche forogiuliesi, dove spiega tutta la topografia del colle. I luoghi di culto erano anzi cinque perché va aggiunta la cappella privata del patriarca interna al palazzo, poi distrutto nel terremoto del 1511 e rifatto come castello. Vediamo allora com’erano distribuite le chiese in spazi così limitati. E non mancano le sorprese. L’unica ora esistente è quella di Santa Maria, la più antica in città, dedicata alla Vergine e a San Biagio. Costruita in un sito che forse ospitava già in passato un luogo sacro, risale all’epoca longobarda. Dopo il rovinoso terremoto, la facciata venne rifatta da Gaspare Negro mentre il campanile fu concluso grazie al tocco di classe di Giovanni da Udine nel 1539, con l’aggiunta di cella campanaria e cupola. Il nostro grande e geniale Zuan Recamador (com’era chiamato) lasciò il suo segno pure lì.

Veniamo alle chiese scomparse. C’era per esempio quella di San Lorenzo, menzionata in un primo documento del 1282. Si trovava proprio nel piazzale del castello, dove ora appare un pozzo, e un suo altare, quello appunto dedicato a San Lorenzo, venne donato da Pietro Savorgnan e poi trasferito a Santa Maria, che a un certo punto divenne prevalente nel culto. Accanto alla pieve sorgevano le abitazioni dei residenti sul colle, dunque i primi udinesi. C’era poi la cappella di San Michele, che doveva essere posta all’interno dell’area cimiteriale attorno a Santa Maria. La sua misteriosa presenza è stata avvalorata grazie agli scavi archeologici. E infine c’era la chiesa che ha resistito di più e di cui si ha una prova visibile in fotografie di fine Ottocento. Era appunto quella di San Rocco, costruita nel 1476 quando, dopo la solita epidemia, si ingaggiò una gara per ingraziarsi il difensore contro la peste. Mentre in città si costruiva una cappella in duomo, sul colle la confraternita andò in controtendenza avviando i lavori della chiesa. Tutto partì il 18 agosto, ma in dicembre grande intoppo perché mancavano i soldi e il tetto appena fatto crollò. Come racconta Trevisan nel suo saggio, dovette intervenire il luogotenente veneziano che diede sì dei soldi, ma accanto all’altare per San Rocco ne fece fare uno per San Marco, tanto per non sbagliare. Collocata alla fine del porticato del Lippomano, la pieve venne demolita nel 1883 quando il Comune volle aprire un passaggio per scendere verso il Giardin Grande.

Tutto qui, polvere di stelle in chiave udinese. Sparivano le chiese, ma non gli archi. Pure questa può essere una curiosità. Infatti, accanto a Santa Maria, prima di entrare nel piazzale del castello, si attraversa adesso quello demolito in via Portanuova e rifatto poi lassù. E sull’altro lato, dove si scende in giardino, c’è quello trasferito lì da palazzo Torriani. Ai piedi dell’Arcangelo Gabriele, indomito di fronte ai fulmini che da secoli lo prendono di mira, spunta sempre un mondo di storie, dove si cela l’anima d’una città. —

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