Quando l’Austria chiuse le porte ai cosacchi lasciando nel dramma il Friuli e la Carnia

pieri stefanutti
E se la “Kosakenland” promessa dai tedeschi ai cosacchi non fosse stata solo la Carnia? Parte delle popolazioni cosacche e caucasiche mandate dai tedeschi in Carnia a presidiare il territorio in funzione anti-partigiana doveva probabilmente essere spostata in Carinzia, ma l’operazione fallì.
Come è noto, migliaia di cosacchi e caucasici giunsero in Italia nell’estate del 1944 con famiglie, cavalli, carriaggi e masserizie, attraverso la linea ferroviaria Villach-Tarvisio. La principale località di smistamento fu Stazione per la Carnia ma altri contingenti fecero scalo a Pontebba e Gemona. Prima dell’occupazione dei paesi, per circa un mese e mezzo, i cosacchi stazionarono nella piana di Amaro e a Osoppo, attorno alla storica fortezza. Altri gruppi presero stanza a Gemona occupando, sotto il controllo tedesco, alcuni edifici pubblici. Migliaia di persone provate dal lungo, estenuante viaggio, cercarono una sistemazione provvisoria in diverse località, cominciando a battere le campagne e i centri abitati, razziando tutto quello che poteva garantire un minimo di sopravvivenza, giacché, nulla era stato predisposto per garantire loro mezzi di sostentamento e di assistenza.
La qualità e la quantità delle formazioni cosacche giunte in Italia suscitarono disappunto anche fra i tedeschi, i quali avevano sperato di poter disporre di reparti militari in assetto di guerra da impiegarsi subito nelle azioni contro le forze partigiane. Si trovarono invece di fronte a contingenti nei quali erano predominanti i civili. “Ci si aspettava brigate e reggimenti cosacchi bene organizzati, che potessero essere immediatamente impiegati nelle lotte contro le bande”, scrisse in una relazione l’ufficiale di collegamento Oscar W. Müller: “non era noto a sufficienza che si trattava di profughi, i quali erano da diversi mesi in cammino dall’est a piedi e per ferrovia, con attrezzature, armamento e abbigliamento di emergenza”.
Grave divenne la situazione in Friuli: ad Amaro la campagna prima e il paese poi vennero occupati: “Migliaia di uomini e di cavalli avevano ormai saturato la campagna” raccontò Alceste Mainardis. “Allora si vide la massa muoversi e, come un grosso serpente, entrare in paese. Sotto l’impeto e l’urto i portoni e gli usci furono aperti e gli ospiti colle rivoltelle in pugno, picchiando e urlando entrarono ovunque”.
A Osoppo, invece, come scrisse Antonio Faleschini, “il numero dei russi, militari e civili, con relative famiglie, è grande, sproporzionato alle capacità e possibilità del paese, già immiserito. Le migliaia di cavalli dei russi, disseminati in questa campagna, hanno consumato il fieno”.
A Gemona il Commissario Prefettizio De Carli annotava sconsolato: “continue sono le requisizioni arbitrarie e di soprusi di ogni genere compiuti dalle truppe cosacche verso la popolazione civile. Quantitativi ingentissimi di foraggi sono stati asportati. A ciò si aggiunge l’immenso danno prodotto dal pascolo dei numerosi cavalli lasciati liberi per ogni dove”.
Considerati tali disagi, i tedeschi valutarono la possibilità di trasferire in Carinzia parte dei civili precedentemente destinati alla Carnia, dando ascolto alle pressioni di parte cosacca: “I capi dei cosacchi facevano pressioni perché le donne, i bambini e i vecchi fossero portati fuori del territorio d’operazioni”, riporta la citata relazione del maggiore Müller. Vennero intraprese trattative con le officine Engerau, il villaggio slovacco sede di un campo di lavoro, per la sistemazione di 1.800 cosacchi con le famiglie. Ma l’operazione fallì. “La sistemazione in Carinzia di 5 mila cosacchi (donne, bambini e vecchi) non fu più intrapresa, essendone i presupposti colà troppo sfavorevoli”, riferiva Müller. Secondo lo storico August Walzl: ”la protesta di massa dei nazisti moderati e dei tradizionalisti si sollevò contro questo progetto”.
Fu così che le popolazioni cosacche gravarono interamente sulla Carnia e su altre aree friulane fino alla conclusione della guerra, perpetrando violenze di ogni tipo, e contendendo le risorse a una popolazione stremata. I “respingimenti” da parte austriaca di richiedenti asilo di cui si legge sui giornali oggi riecheggiano in maniera lugubre quelli dei cosacchi di 70 anni fa. —
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