“Primavera”, l’esordio al cinema di Michieletto: Vivaldi, Venezia e la musica come atto di liberazione
Il celebre regista d’opera debutta nel lungometraggio con un film ispirato allo Stabat Mater di Tiziano Scarpa: una storia al femminile ambientata nel Pio Ospedale della Pietà, lontana da ogni biopic e da ogni patina celebrativa

Primavera è l’esordio nel lungometraggio di finzione di Damiano Michieletto, uno dei registi italiani di opera lirica più influenti della sua generazione, capace di coniugare, nel lavoro teatrale, rigore intellettuale e forza visionaria. E non poteva che essere una storia di creazione musicale, come forza sovvertitrice dell’esistenza, ambientata nella sua Venezia, il punto di partenza per questa sua prima regia cinematografica.
Primavera - liberamente ispirato al romanzo “Stabat Mater” di Tiziano Scarpa - racconta l’incrocio di due destini. Quello di Cecilia, una violinista cresciuta nel Pio Ospedale della Pietà di Venezia che educava le orfane a diventare brillanti musiciste. E quello di un nuovo maestro, arrivato in quel luogo di salvezza e prigionia ai primi del ‘700: Antonio Vivaldi. Damiano Michieletto non si schermisce quando gli viene fatto notare un approccio a questo film più tradizionale se paragonato a una carriera teatrale spesso spiazzante. «L’opera è qualcosa che faccio da 25 anni», ammette. «Questo è il mio primo film e sono consapevole di dover maturare un mio linguaggio. Se immagino una seconda regia cinematografica, sono certo che avrò più coraggio in alcune scelte di grammatica filmica».
Rispetto al romanzo di Scarpa ma anche al suo adattamento scritto da Ludovica Rampoldi, Michieletto si è imposto con la propria visione: non solo è “sparita” la sequenza del mattatoio ma anche il finale è cambiato. «Era un epilogo, quello in sceneggiatura, che non mi convinceva perché troppo consolatorio. Non mi interessava raccontare il passaggio del tempo e conoscere la sorte di Cecilia. Ho preferito un finale più sospeso che tenesse insieme la disperazione di una ragazza che non può aspettarsi un futuro brillante e il coraggio di non rassegnarsi a vivere come una vittima. Quanto alla scena del mattatoio, l’ho tagliata perché non ero convinto della sua resa ma, soprattutto, mi sembrava troppo figlia del romanzo. Nel libro, lo sgozzamento di un agnello cui Cecilia è costretta ad assistere, è un momento simbolico che rappresenta la recisione di un cordone ombelicale. Nel film questa provocazione non era necessaria». La liberazione di Cecilia dalla violenza di una società che nega alle donne un orizzonte suona molto attuale. «È una ragazza del 1700, orfana, che trova un modo per stare al mondo, un piacere che passa anche attraverso il fatto di essere vista e riconosciuta per la prima volta. Il suo errore è quello di provare a ragionare come se fosse libera. Ingenuamente pensa che Vivaldi la possa aiutare ma è un uomo con i suoi limiti e la sua codardia».
Primavera riscopre una figura chiave del Barocco musicale ma non è certo un biopic o un’agiografia di Vivaldi. «Non volevo farne un “Amadeus”, ma realizzare un film “largo”, non solo per gli amanti del teatro e della musica», prosegue Michieletto. «È lo stesso approccio che ho con l’opera: non nasco come un melomane e ho sempre cercato di raccontare delle storie per abbracciare il pubblico. Anche adesso, al cinema, parto da una vicenda lontana per farla risuonare e sentirla vicina all’oggi. È il viaggio di una ragazza, nella Serenissima del ‘700, che racconta anche come la Repubblica Veneta, che allora era la capitale della prostituzione, risolvesse una piaga sociale, come l’abbandono dei bambini, attraverso la musica, mettendo in mano alle orfane uno strumento e creando una orchestra che permetteva di finanziare l’Ospedale».
Con Vivaldi, Venezia e un colosso come Warner alle spalle il rischio era quello di restare intrappolato in una dimensione patinata. «Ho cercato di evitarla ad ogni costo», chiarisce Michieletto. «Volevo dare alla storia un profondo senso di umanità con un gusto estetico che non cercasse la bella inquadratura ma cogliesse gli aspetti più concreti e anche crudeli di quel periodo». L’ambientazione può ricordare “Gloria!” di Margherita Vicario. «I film hanno certamente un retroterra comune», ammette. «Ma il lavoro di Margherita è musicalmente distante dal mio: lei ha messo la sua anima pop, Primavera imbocca una direzione completamente diversa». —
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