Il Premio Udine Filosofia a Giorgio Vallortigara: «Cosa ci rende noi stessi»
Il neuroscienziato celebrato dal Festival Mimesis: «Racconto le mie personali ossessioni». Tra gli appuntamenti di venerdì anche quello con Vera Gheno

I misteri della mente al centro venerdì 31 ottobre, alle 19, a Udine a Casa Cavazzini, con Luca Taddio e introduzione di Damiano Cantone: il Festival Mimesis incontra e celebra il neuroscienziato Giorgio Vallortigara attraverso l’attribuzione del Premio Udine Filosofia, per “il contributo straordinario delle sue ricerche alla comprensione della mente e del comportamento animale. Il riconoscimento celebra una carriera capace di intrecciare scienza e filosofia, aprendo nuove prospettive sulla coscienza e sulla vita”.
Di fama internazionale, Vallortigara è professore di Neuroscienze presso il Centre for Mind-Brain Sciences dell’Università di Trento, di cui è stato anche direttore, per vari anni Adjunct Professor presso la School of of Biological, Biomedical and Molecular Sciences dell’Università del New England, in Australia. Numerosi i suoi libri a carattere divulgativo, tra i più recenti “Pensieri della mosca con la testa storta” pubblicato da Adelphi nel 2021 (“The Origins of Consciousness” Routledge, UK), e “Born Knowing” (MIT Press, 2021) e, in un’edizione rivista e aggiornata, nel 2023 con il titolo “Il pulcino di Kant” (Adelphi).
È tra i pochi scienziati europei ad avere ottenuto per due volte il prestigioso ERC Advanced Grant, collaborando con le pagine culturali di varie testate giornalistiche e riviste, quali il Sole 24 Ore, Prometeo, la Lettura e Le Scienze.
Il suo ultimo libro si intitola “Desiderare” (Marsilio), una parola che sembra lontana dal linguaggio della scienza. Il cuore teorico ed emotivo del libro riguarda l’essenza degli esseri umani e una delle domande più antiche del mondo ovvero: “cosa ci renda noi stessi”.
Cosa l’ha fatta svoltare dal saggio al romanzo?
«Negli ultimi saggi di tipo divulgativo ho cercato una via narrativa e letteraria alla descrizione dei fatti scientifici però ad un certo momento mi sono accorto che la possibilità di arrivare alle emozioni del lettore in maniera diretta e convincente è possibile soltanto a chi pratica un’attività di tipo genuinamente artistico. È stato naturale per me cercare una forma diversa di espressione per raccontare in un certo senso i medesimi temi e cioè le mie personali ossessioni, e quelli di chi fa il mio mestiere».
Lei ha scritto molto anche sul cervello degli animali sulle forme dell’intelligenza e l’empatia. In che modo la sua sensibilità per il non umano entra nel suo modo di raccontare l’umano?
«Entra con l’idea che fondamentalmente il modo con cui funzionano i sistemi nervosi di tutte le creature è il medesimo. Cambia la sovrastruttura che è legata alla nostra specie. Ci sono un sacco di informazioni che vengono trasferite per via culturale e quindi nella società e nella storia ma i meccanismi basilari di funzionamento sono gli stessi. Sono questi meccanismi universali a cui sono fondamentalmente interessato che attraversano anche la trama del romanzo. Come dicevo prima i sistemi biologici sono macchine per il desiderio nel senso che il significato per qualsiasi organismo ha a che fare con il riconoscimento di ciò che è buono, di ciò che è cattivo e il desiderio per ciò che è buono e l’evitamento per ciò che è cattivo».
Che ci garantisce la sopravvivenza della specie...
«Quella è la descrizione a lungo termine, che da un biologo evoluzionista che guarda il fenomeno dall’esterno. Ma se pensiamo invece quella che è dall’interno l’esperienza degli organismi è fatta di cose piacevoli, spiacevoli, desideri, rappresentazioni della mente degli altri, empatia. Di tratti che sono psicologici. Certo che sono foggiati dalla selezione naturale e in ultima analisi servono a fare copie dei propri geni però questo non è il modo in cui vengono vissuti a livello individuale. Nessuno va in giro a cercare un partner con l’idea di fare copia dei propri geni. Ci si innamora».
Nel suo libro convivono due filoni: il thriller e il metaromanzo. Cosa piace leggere a un neuroscienziato?
«Lo si scopre leggendo il libro. La raccolta dei miei amori letterari è citata in alcuni casi esplicitamente, altre si indovina: Borges, Daniele del Giudice, per l’arte Giotto, per la musica Bach. Ci sono riferimenti ma non sono messi lì a caso ma come parti integranti della storia. Il libro vuole trasferire al lettore una sensazione di realtà. I luoghi descritti li conosco e li ho amati profondamente».
La giornata si chiuderà alle 21 al Teatro San Giorgio di Udine con “Nessunə è normale”, di Vera Gheno, sociolinguista e traduttrice dall’ungherese, che ha collaborato per vent’anni con l’Accademia della Crusca
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