Paolini e il mondo irreversibile di Numero Primo

L’attore e regista di teatro civile in scena con la globalizzazione. Alle 17.30 vede il pubblico

UDINE. È un ritorno molto atteso quello di Marco Paolini al Teatro Nuovo. Dopo Il Sergente (2004), Song 32 (2006) e Itis Galileo (2012) il grande autore, attore e regista bellunese salirà infatti sul palcoscenico del Giovanni da Udine oggi, alle 20.45 con Le Avventure di Numero Primo, spettacolo scritto a quattro mani con Gianfranco Bettin.

Sempre oggi, alle 17.30, Paolini incontrerà il pubblico nel foyer del teatro in un dialogo con Paolo Mosanghini, caporedattore del Messaggero Veneto e scrittore.

Cantore attento, ironico, poetico e sempre nuovo del nostro Nordest, anima e corpo di tante storie di un passato vicino (Il racconto del Vajont) e lontano (Il Milione), questa volta Paolini punta la sua bussola immaginaria dritta davanti a sé, verso un futuro molto prossimo a noi.

Sono trascorsi cinquemila giorni da oggi e la tecnologia ha definitivamente rivoluzionato la vita degli esseri umani. Venezia, Belluno e Trieste sono un miscuglio multietnico, il clima è impazzito, il polo chimico di Marghera è diventato una fabbrica di neve, le scuole sono intitolate a Steve Jobs anziché a Giosuè Carducci e su Amazon si può comprare davvero di tutto.

Questo è il mondo irreversibile in cui si muovono Ettore e Nicola: un fotografo sessantenne che usa ancora i negativi e un bambino di cinque anni, un “numero primo” generato da un evolutissimo programma di laboratorio; un padre naturale e un figlio orfano di una madre misteriosa, nato chissà dove e dotato di una curiosità primordiale, decisamente anomala in tempi tecnologici.

«Numero Primo è un racconto teatrale, una scusa per porsi delle domande nel presente, senza la pretesa di leggere il futuro – racconta Paolini - Ho un’età in cui non sento il bisogno di guardare indietro, di ricostruire. Preferisco sforzarmi di immaginare il futuro. Parlerò della mia generazione alle prese con una pervasiva rivoluzione tecnologica. Parlerò dell’attrazione e della diffidenza verso di essa, del riaffiorare del lavoro manuale come resistenza al digitale. Parlerò di biologia e altri linguaggi, ma lo farò seguendo il filo di una storia più lunga».

Una storia che cambia, di volta in volta, nell’incontro/confronto con il pubblico che si fa elemento organico, essenziale della Storia e del suo divenire, e sulla quale aleggiano inevitabilmente molte domande aperte: qual è il rapporto di ciascuno di noi con l’evoluzione delle tecnologie? Quanto sottile è il confine fra intelligenza biologica e intelligenza artificiale? E se c’è una direzione, c’è anche una destinazione per tutto questo movimento?



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