Musica, l’arte dell’ascolto: Filippo Poletti la racconta con 120 interviste

Il giornalista milanese ha pubblicato un volume in cui ha raccolto le impressioni sulle note da moltissimi personaggi noti. «Tutto è cominciato con Rita Levi Montalcini e si è concluso con Al Bano»

Gian Paolo Polesini
Il giornalista e musicologo Filippo Poletti, autore del libro: “L’arte dell’ascolto: musica al lavoro”
Il giornalista e musicologo Filippo Poletti, autore del libro: “L’arte dell’ascolto: musica al lavoro”

Venticinque anni di richieste, attenzioni, inseguimenti, speranze, appunti, soddisfazioni, soprattutto di pazienza, un quarto di secolo speso bene per un progetto che mai prima d’ora s’era srotolato in Italia. La domanda è stata: quale connessione potrebbe crearsi fra centoventi personaggi di caratura internazionale e la musica?

Il musicologo e giornalista milanese Filippo Poletti se lo chiese nel 1999 incontrando per caso Rita Levi Montalcini nel foyer della Scala, ci racconta. «Posso intervistarla — chiesi alla professoressa — su come lei vive quotidianamente l’armonia musicale? La signora annuì affidandomi alla sua segretaria per un appuntamento. E cominciai così un’avventura per passione senza uno schema preciso. Con onore posso dire di affiancare Bach: anche lui impiegò venticinque anni a comporre la “Messa in Si Minore”».

Titolo dell’opera edita da Guerini Next?

«L’arte dell’ascolto: musica al lavoro».

Lei, però, gestisce un altro primato, va detto.

«Il titolo di “influencer positivo” su Linkedin: dal 5 maggio 2017 pubblico ogni giorno una bella notizia sul mondo del lavoro. A oggi sono oltre quattromila. La prima che lanciai fu un crescendo di like: vedi, pensai, la gente non ama solo le disgrazie. Vale la pena d’insistere. E così nel 2023 ho superato i cento mila follower».

Quindi, se abbiamo capito bene, tutto cominciò con la Montalcini.

«E si concluse con Al Bano. Ma senza minimamente immaginare su come avrei gestito le centinaia di risposte raccolte nel tempo. Un modo per conservare, soprattutto, nemmeno per tramandare. Poi la pila di fogli aumentava e mi imposi un programma con un degno finale: prima o poi le metterò tutte insieme, queste interviste. Ce l’ho fatta. Scalando, alla fine, la parete più ripida».

Ovvero?

«Alcuni degli intervistati, nel frattempo, hanno lasciato questo mondo e mi servivano le liberatorie degli eredi. Non sempre la ricerca è stata agevole. Quando ho piantato finalmente la bandiera in cima al monte con gran soddisfazione mi sono detto: adesso si va in stampa».

È riuscito a captare una verità assoluta dopo tanta fatica?

«Oh sì: che tutte le grandi donne e tutti i grandi uomini ascoltano la grande musica. Nessuno si è sottratto al gioco».

Per ovvie ragioni restringiamo il campo al Nord-Est: da chi cominciamo?

«Direi da Claudio Magris. Lui mi disse “che non esiste la nazione della musica per eccellenza. Ma ognuno deve essere fiero della propria cultura”. Magris è musicalmente vicino alla colta melodia tedesca».

E il triestino Gillo Dorfles?

«Secondo uno dei più influenti pensatori del Novecento, la nostra generazione ha perso il gusto dell’intervallo. Siamo bombardati da una sovrapposizione di eventi tali da non farci mai riposare. Un eccellente pianista, fra l’altro».

L’udinese Francesca Delogu, per otto anni direttore di “Cosmopolitan”, è un’abile polistrumentista e, anche lei, finita nel suo catalogo.

«Eccome no, pianista, bassista, trombonista. “Per poter ascoltare gli altri, bisogna sapersi ascoltare. È necessario riuscire a decodificare i nostri suoni interiori tra pause e paure”, mi spiegò il suo credo».

Anche il padovano Benedetto Scimeni, illustre matematico, è stato analizzato per bene.

«Gli chiesi qual è la triade matematica della musica. “Facile, rispose lui, Johann Sebastian Bach. Il bello di questa disciplina è il perfetto miscuglio di razionale e di imprevedibile».

Vien da pensare al cinema, parlando di suoni. Sbirciando nel date base del libro abbiamo individuato il direttore della Mostra di Venezia Alberto Barbera.

«Ah, giusto. “I film non sono mai stati muti”, è la sua convinzione. In realtà la musica li accompagnava sempre. Una sequenza qualunque, per esempio, cosa sarebbe senza una colonna sonora? Probabilmente non ci consegnerebbe alcuna emozione».

Chi l’ha davvero stupita?

«Margherita Hack. Mise subito le mani avanti: “Sia ben chiaro, io odio Chopin”, sparò col suo piglio toscano. “L’astronomia è una branca della fisica e non ha alcunché di romantico. Al contrario amo Vivaldi. Lei lo sa che le stelle sono stonate perché emettono il rumore delle onde radio mentre i satelliti intonati perché il loro moto produce risonanze?».

Qualcosa di meno conosciuto?

«Il rapporto tra Padova e Petrarca è ben noto, certo, anche perché il poeta si ritirò ad Arquà. Qui il letterario compose il Canzoniere che musicò Monteverdi. Magari a qualcuno sfugge, invece, che il padovano Cristofori inventò il fortepiano, l’antesignano del pianoforte. Una delle tante curiosità che se ne stanno nascoste dentro le pagine».

Il personaggio più estroso della sua cavalcata intonata?

«Senza gara: Mike Bongiorno. Pensi che fu il papà di Laura Efrikian, la prima moglie di Morandi, a fargli conoscere la musica di Vivaldi, che lui amava. “Mi mette allegria” diceva». 

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