Il nuovo saggio di Cecilia Sala sul Medio Oriente: «La guerra Israele-Iran non è finita»
La giornalista presenterà il libro in anteprima nazionale a Pordenonelegge. Il 28 giugno è passata da Lignano per ritirare il premio Hemingway

Così elegante, nei modi e nel portamento, che sotto le bombe una come Cecilia Sala proprio non te la immagini. Oddio, in Iran, in Afghanistan, in Ucraina indosserà gli anfibi, un elmetto e un giubbino antiproiettile con scritto press, ovvio, non certo il tubino col tacco, però nell’immaginario soprattutto cinematografico l’inviato di guerra è solitamente uno col volto bruciato dal sole e le mani nodose. Stereotipi facilmente superabili.
«Paura? Certo che ce l’ho, sarebbe pericoloso se non ce l’avessi», dice sorpresa dalla domanda.
La Sala ne ha già viste di brutture nella vita nonostante i suoi trent’anni, «ma da adolescente già pensavo a questo. Nessuna improvvisazione».
Suo è il Premio Hemingway “Testimone del nostro tempo”, «per la straordinaria capacità di raccontare il mondo con uno sguardo lucido ed empatico, dando voce alle storie che spesso restano ai margini dell’informazione tradizionale».
«L’ho osservata oggi — ha detto il sindaco di Lignano Laura Giorgi — e ho visto il lei lo spirito battagliero di Oriana Fallaci, una donna e una giornalista che ho amato molto in gioventù e che aveva il coraggio di dire la verità».
Una scelta. Sai che vuoi partecipare attivamente ai drammi della Terra e ci vai.
«Si è modificato parecchio il modo di apprendere le notizie: ora più volentieri il pubblico le ascolta. Per questo ho incrociato volentieri il progetto di Mario Calabresi che ha fondato “Chora Media”, una società di produzione di podcast, continuando a fare le stesse cose di prima. L’Iran, certo, è il Paese che seguo da molti anni e al quale sono più affezionata, poi che la mia ultima trasferta sia finita male, ormai lo sanno tutti. Anzi, direi bene, alla fine. Una detenzione di soli ventuno giorni non l’avrai mai sperata quand’ero nel carcere di Evin. Il timore era di restarci a lungo e, credetemi, non ne sarei uscita viva a quelle condizioni».
Sala fu arrestata il 19 dicembre 2024 con l’accusa di aver violato le leggi della Repubblica islamica e rilasciata l’8 gennaio 2025.
S’intuisce che di ritornare seppur con la memoria a inizio anno in piena prigionia la Sala gran voglia non ce l’ha proprio. E lo fa capire.
«Stare al fronte — racconta — implica una serie di situazioni che si assomigliano. I missili ti svegliano di notte, i colpi d’artiglieria li senti ogni ora, ti arriva il fragore della battaglia e non sai cosa mai cosa potrebbe succederti. Purtroppo i Paesi in guerra sono tanti».
Qui all’Hemingway Cecilia Sala è stata accompagnata dal suo libro “L’incendio” (Mondadori) del 2023, un viaggio nelle zone più bollenti del pianeta. Ma c’è un’altra trama che riguarderà il Medio Oriente — «ci stavo lavorando anche prima dell’arresto» — pronto e ben rilegato per una importante anteprima nazionale a pordenonelegge dal 17 al 21 settembre.
Il titolo? «Non manca molto al lancio», precisa una responsabile della casa editrice.
«Ci si affeziona a questo mestiere per l’intensità delle relazioni che hai nei posti più incredibili», spiega Sala.
Ritiene conclusa la guerra in Iran?
«Questo capitolo direi di sì. Poi la guerra Israele-Iran l’abbiamo chiamata ombra per quasi mezzo secolo soltanto perché non si vedeva e non funzionava a bombardamenti aerei. La repubblica islamica è ancora in piedi, il programma nucleare non è completamente distrutto e i Paesi continueranno a essere nemici. La risposta è: no, forse non è conclusa».
L’Occidente non è la miglior postazione possibile per capire cosa realmente accade altrove.
«Come, per esempio, il separare la rappresentazione del popolo iraniano dalla rappresentazione del regime perché veramente è molto diverso e chiunque passeggi per una grande città iraniana se ne rende conto. Pubblicai delle foto di zone piuttosto glamour con mostre d’arte e serate aperitivo e chiunque ha stentato a riconoscere l’Iran in quegli scatti. E ci sono migliaia di ragazze che non indossano più il velo dopo la protesta del 2022. La generazione Z è già scesa in piazza tre anni fa e loro, credetemi, sono molto distanti dagli ayatollah: basta guardarli e ascoltarli».
Un quotidiano nazionale l’ha recentemente attaccata per queste affermazioni, negando di fatto che tutto ciò sia possibile.
«La gente non sa che il settanta per cento dei laureati iraniani sono donne, mentre in Italia siamo fermi al ventidue. Parlare per un giorno delle ragazze di Teheran non significa affatto rinnegare tutto quello che ho sempre detto del regime. Qualcosa, però, è cambiato».
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