Miani e il Sanremo di 35 anni fa: «Un carrozzone, mai visto soldi»

Il cantante friulano ricorda la sua esperienza nel 1985 sul palco dell’Ariston. «Ho venduto 300 mila copie, ma poi...». Sabato 1 febbraio appuntamento a Remanzacco

UDINE. Giovanni Miani 35 anni dopo. È il 1985 quando dal teatro Ariston il giovane cantante friulano buca lo schermo e conquista il pubblico con “Me ne andrò”, canzone che ammicca ai Duran Duran e alla new wave inglese di quegli anni, scritta a quattro mani con il goriziano Roberto Montanari.

Sabato 1 febbraio alla Tavernetta, nella sua Remanzacco, Miani ripercorrerà a favore dei fan, sempre affezionati e numerosi, i suoi passi a Sanremo e più in generale gli anni d’oro del festival. «Quelli in cui ti ricordavi chi vinceva, perché se oggi chiedi a qualcuno chi ha vinto l’ultimo Sanremo e con quale canzone, credi lo sappia?».

Parte a gamba tesa Miani, deciso a raccontarsi, a suon di musica naturalmente, ma non solo. Non stavolta. Il successo toccato un istante e poi rincorso per una vita senza più riuscire a stringerlo davvero è un peso con il quale, 35 anni dopo, il cantante friulano intende fare i conti.

Arriva come un fulmine a ciel sereno quel successo. Prima finalista a Castrocaro nel 1983 – «avevo visto l’avviso su Sorrisi e canzoni, si partecipava per 10 mila lire” –, poi medaglia d’argento tra i giovani a Sanremo’85 – «secondo posto forzato da un impresario, perché ai voti della Doxa risultai primo». E tuttavia, «chi mai se l’aspettava?» , dice quasi tra sé Miani che ricorda ogni istante di quella prima volta sul palco della canzone italiana (ce ne sarà una seconda, meno fortunata, l’anno dopo).

«Ero reduce da un calo di voce, le mani mi tremavano». Non lo dà a vedere Miani, che all’Ariston, chioma al vento e cravatta allentata in stile Simon Le Bon, porta musicalità e movenze fino allora mai viste dall’educato pubblico sanremese. È un successo.

«Mi sono ritrovato all’interno di un carrozzone capitanato da Pippo Baudo, a cantare in teatri pieni fino al collasso con Ramazzotti, Cotugno, Ricchi e Poveri, Drupi, Berté». Bene… «Macché. Mai visto un soldo. Dopo Sanremo anzi mi hanno chiesto di saldare 800 mila lire di rosso per coprire spese varie. Non dico altro».

Invece dice Miani. Ancora. Perché dopo il festival dell’85 le major di stanza a Milano lo cercano, insistentemente, offrendogli la grande occasione. «Colpa mia, ero troppo giovane, ingenuo, non ho osato. Sono rimasto con la Cinevox di Roma, etichetta con cui avevo firmato un contratto e che non mi ha spinto. Il terzo giorno dopo Sanremo le copie del mio disco erano esaurite. Ne ho vendute 300 mila. Mica poche. Ma poi…».

Dopo qualche anno passato all’ombra della Madonnina, tra nuovi tentativi di sfondare e lavori per mantenersi, Miani torna in Friuli. Siamo all’alba del nuovo millennio «quando un produttore mi consiglia di far ritorno a casa e mettere a frutto qui la mia passione». Il cantante lo ascolta. Rientra a Remanzacco, continua a comporre. «Quante canzoni ho fatto? Impossibile contarle, io scrivo sempre».

Poi si mette a girare il mondo portando la sua musica e quella italiana nei Fogolârs furlans e in tanti locali lungo lo Stivale. A dispetto di quanto molti pensano, la sua canzone più conosciuta non è “Me ne andrò”, ma “Tu vivi nell’aria”, scritta con dj Matrix e poi remixata tra gli altri da Gabri Ponte. Un tormentone da 13 milioni di visualizzazioni su Youtube, «peccato quasi nessuno sappia che la voce è la mia», dice ancora il friulano a proposito della hit.

Il suo sogno oggi? «Scriverne un’altra, dar voce al nuovo tormentone dell’estate». Perché 35 anni dopo Sanremo, Miani c’è, più appassionato che mai. —


 

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