Mazzoni al Palamostre: la poesia come dieta che non disdegna il digiuno
Oggi alle 17 l’appuntamento nell’ambito di “Scart. La poesia che si fa”

Il prossimo incontro con gli appuntamenti di “Scart. La poesia che si fa” è per oggi, venerdì 17, al Teatro Palamostre, per la presentazione di Guido Mazzoni.
Nato nel 1967, Mazzoni è un intellettuale, poeta, critico letterario, saggista. La rastremata produzione poetica di Mazzoni è lontana dalla voracità bulimica, spesso (anche in poesia) tipica dei nostri tempi, per somigliare più a una dieta che non disdegni il digiuno. In una società sempre più autodiretta, concisa, semplicistica, rapida, Mazzoni va al proprio ritmo. Dopo l’esordio con La scomparsa del respiro dopo la caduta, (uscito in “Terzo quaderno italiano di poesia contemporanea”, Guerini, 1992), nel 2010 ha pubblicato “I mondi” (Donzelli) e nel 2017 “La pura superficie” (Donzelli). Non ricorre al poetese, ma abbraccia un lessico e una sintassi piani, alterna le poesie alle prose; rifugge dalla brevitas prendendosi tempo e spazio necessarî per sviluppare adeguatamente un testo. Mazzoni è un poeta equilibrato, misurato, mediamente elegante, abbastanza prosaico, distaccato nel mentre comunica la spietatezza e la freddezza della nostra condizione di individui dissociati.
Per il suo peso, “I mondi” è stato salutato con entusiasmo e vivacità: la partecipazione che ancora suscita tra lettori, poeti e critici, dice il credito dell’autore. In esso si coglie l’accettazione dello stato delle cose così come sono: non per rinuncia, ma per serafica presa d’atto. Il poeta ammette che in certi casi chi dice “io” è lui stesso – ma fa poca differenza: l’io lirico, il singolo, che si presuppone speranzosamente diverso dagli altri e crede falsamente di avere la propria vita in mano, in realtà è appiattito, omogeneizzato dall’iterazione di logiche conformanti e solipsistiche: “Ora so che non ha senso rompere / la miopia che ci fa esistere, vedo diversamente / le monadi che ci proteggono, le loro trame nel disordine; / seguo le macchie di luce che il sole / getta sul paesaggio, il cielo puro e indifferente”. Nella “Pura superficie” l’io lirico si accorge di essere un pronome intercambiabile, giacché pure gli altri da sé sono, possono e sanno dire “io”: “Guardo le nuvole sopra di me, sono un’idea, / vedo me stesso come qualcuno che coglie / l’immagine di un intero dentro le nuvole che lo sovrastano, / nella calotta della mente, seguo le spie / illuminare l’abitacolo, la striscia continua, le strade esistere dopo di noi”. Nell’esperienza di vita, uno vale l’altro, con disincanto: non per democrazia, ma con intercambiabilità e livellamento verso l’alienazione. Il secondo libro, inoltre, è imbastito da riprese, traduzioni, rifacimenti da Wallace Stevens (1879-1955), uno tra i maggiori e a oggi più amati e produttivi poeti statunitensi.
Eppure questa non è poesia lirica. O meglio: l’io lirico c’è, ma solo per venir disciolto nella moltitudine – non quella universalizzante di Walt Whitman (1819-1892, altro monstrum statunitense) – ma annichilito in essa. È un esercizio di osservazione e di introiettamento: l’“io” osserva ciò lo attornia fino a che si guarda osservare gli altri da sé e sovrapporglisi guardandosi con distacco. Per la critica Claudia Crocco, si deve giustamente parlare di «alternanza fra impersonalità e soggettivismo», con tutte le derive concettuali e semiologiche che ciò comporta.
L’incontro, che è aperto al pubblico, si terrà come si diceva alle 17.30 nella Sala Carmelo Bene del Teatro Palamostre di Udine. Per informazioni si rimanda al sito www.scartpoesia.wordpress.com.
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