Da avvocato a sceneggiatore, la seconda vita di Massimiliano Aita
Il professionista friulano lascia il tribunale per il cinema: «Durante il Covid ho capito che la legge non bastava più. Ora scrivo storie, cerco verità e libertà». Dai corti premiati in America al film Antigone 2024, fino a un progetto sul terremoto del ’76

Quando il vestito dell’avvocato te lo senti stretto nessuno al mondo ti obbliga a indossarlo tutti i santi giorni, o no? Non capita spesso, ma capita. A Massimiliano Aita, professionista friulano, è successo proprio questo. Un’improvvisa metamorfosi. E una bella mattina, ricordando Kafka, lui si alzò pensando al cinema e non più al codice civile.
«Ci ho ragionato durante la prigionia del Covid: un tempo, mi dicevo, amavi vivere in tribunale, preparare le udienze, ascoltare i clienti. L’entusiasmo era dominante e stavo bene così. Poi, però, cominciai a contare le numerose lamentele: legge e giustizia non vanno sempre per la medesima strada. Come cantava De Gregori: “Cercasti giustizia, trovasti la legge”. Il mestiere corrispondeva meno ai miei principi di quando mi ci tuffai dentro e così decisi di cercare la svolta».
Sceneggiatore. Già.
Gli veniva facile scrivere, gli viene facile scrivere. E poi quell’entusiasmo improvviso per il grande schermo. «Sono partito dal basso, intendiamoci, nessun volo senza paracadute. L’attore rappresentava un inizio, giusto per capirci di più. Mi sarebbe piaciuto anche suonare o cantare. Ma non domino alcuno strumento e sono pure stonato. Scrivere, invece, era gesto spontaneo».
Un suo scritto è finito secondo al “Women’s International Film Fest” ed è in finale al “True Colors” di Las Vegas.
Ma come ha fatto a raggiungere l’America?
«C’è un sito dove chiunque può iscrivere un proprio lavoro a un festival. Se hai un po’ di fortuna e l’idea è sostanziosa vai pure lontano».
Ci racconti degli esordi.
«Sapevo poco o nulla di tecnica e così decisi di mettere piede in una scuola di recitazione. Prima a Udine e poi a Verona. Arrivarono piccole parti in alcuni cortometraggi finché Margherita Vicario mi scelse per un ruolo in “Gloria”. Fra l’altro non sono nemmeno stato accreditato. Non importa. Affrontai un dialogo improvvisato con Natalino Balasso. Non proprio una passeggiata. Lui è un dio dell’improvvisazione. Me la cavai piuttosto bene. A quel punto sentii il richiamo dell’arte. Fra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 stavo piuttosto male e, per compensare il dolore, creavo storie. Inizialmente le immaginavo, ma per trasformarle in un testo affascinante pensai che investire dei soldi nei corsi fossi una buona idea. Milano mi accolse con uno studio sulla drammaturgia».
Dal dire al fare… lo step successivo è sempre beccare la storia giusta.
«Il governo aveva appena presentato un progetto di legge sulla maternità surrogata e a me ‘sta cosa qui infastidiva moltissimo. Al pari delle non scelte sull’eutanasia. Lo Stato non dovrebbe entrare in certe delicatissime questioni personali».
Quindi?
«Pare fantascienza, ma sentivo le voci dei personaggi che mi suggerivano cosa scrivere di loro. Suggestioni, certo. Hanno funzionato, mi creda. Prese forma il corto “Antigone 2024” diventato lungometraggio. Una ragazza quindicenne viene stuprata e torturata durante la guerra del Kosovo. Il medico che la cura scopre una gravidanza inattesa: riuscirà a salvare madre e figlia. Mentirà poi dicendo che la bimba non ce l’ha fatta, consegnandola di fatto alla sua infermiera affinché cresca lontano dai massacri».
E a che punto siete?
«Stiamo cercando finanziatori. Il cast c’è, il regista anche. Non sarà facile rastrellare denaro. Con un nome importante è più facile. Ma io ho voluto dare il palcoscenico a chi non ce l’ha».
A quanto si sa lei gioca su più tavoli.
«È conclusa anche la sceneggiatura del corto “Come ho ucciso mio padre” sul senso di colpa. Il destino è segnato: non ci resta che vivere con forza e determinazione identificando le persone che ci vogliono bene».
E poi c’è “Manhattan, Italia”.
«Esattamente. È incentrato sulla tematica delle sostanze inquinanti presenti nelle pentole d’acciaio nei telefonini, nelle batterie. Soltanto adesso si scoprono gli effetti nocivi. Questa storia è ambientata in una fabbrica di Vicenza. Il problema è che non esiste una normativa in proposito. Al tempo se fosse uscita questa cosa qui avrebbe dato una spallata all’economia mondiale e nessuno parlò».
Prima, a penna “spenta”, accennava a un progetto sul terremoto.
«Sarà un on the road attraverso i luoghi tragici del 1976. Le posso intanto dire il nome del direttore della fotografia: sarà Davide Leone. Lo stesso che illuminò “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi».
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