Maria Tore Barbina, la prof che tutelò l’universo femminile e la nostra lingua

UDINE. O crodevi di sei par te regjne / e spose e mari dai tiei fîs. / Cumò / in tun cjanton ‘o soi, soi refudade (…) No ti comode plui cheste mê fuarce / che ti fâs pore (…) (Credevo di essere per te regina / e sposa e madre dei tuoi figli. / Ora / sono in un angolo / sono rifiutata (…) Più non ti conviene questa mia forza / che ti impaurisce).
Il 28 agosto 2007 moriva a Udine Maria Tore Barbina, poetessa, lessicografa, insegnante, traduttrice, costantemente attenta alla condizione della donna, pronta a redarguire educatamente ma con fermezza chi seguitava a proporre una mentalità tradizionale implicitamente maschilista. La citazione in epigrafe è tratta da una sua poesia scritta a Creta nel 1994 e dedicata a Medea, la maga ripudiata da Giasone che attua una feroce vendetta.
Maria Tore nasce a Udine nel luglio del 1940 da padre sardo e madre carnica e vive la sua infanzia e fanciullezza a Tarcento. La sua identità, appartenente a due minoranze culturali e linguistiche d’Italia, l’accompagna nelle scelte culturali e la spinge poi verso gli autori della classicità greca e latina. Si laurea in lettere a Trieste con una tesi su un commentario di Plauto ricavato da un codice conservato presso la Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli.
Si sposa con il docente e noto geografo Guido Barbina (1936-1999), figlio del deputato democristiano, fervente autonomista ed ex partigiano delle formazioni Osoppo Faustino Barbina. La coppia, molto affiatata, manifesta gli stessi interessi, quantunque da angolazioni diverse: Guido ha una spiccata capacità di leggere il territorio e sa cogliere in chiave problematica le grandi questioni delle società moderne. Maria interpreta nel presente le tematiche della classicità e non fa sconti a mentalità retrive. Viaggiano insieme, dalle montagne carniche ad altri continenti, arricchendo il proprio bagaglio di conoscenze.
Come ha notato Anna Bogaro, che ha tracciato una sua biografia, Maria Tore sceglie di tradurre figure di donne intellettualmente libere come la Lisistrata di Aristofane, prima commedia greca con una protagonista femminile, ma anche primo testo della cultura occidentale ad affrontare il problema dell’emarginazione femminile “senza fermarsi alle lacrime o mostrare soluzioni che valgono solo per qualche donna fuori dal normale”. Secondo Tore, nella commedia di Aristofane vi è il riconoscimento delle donne come soggetti storici e lo sciopero del sesso non è vissuto da oggetti passivi, ma come “un piacere e un diritto”.
Dal punto di vista formale, lavora sul testo originale rispettandone il plurilinguismo. I personaggi si esprimono nel friulano centrale, ad eccezione di Lampitò e degli Spartani che parlano in una variante codroipese rustico-campagnola volta a riprodurre il dialetto ionico-attico.
Tra le altre traduzioni in friulano, sempre in funzione dell’universo femminile, vanno messe in rilievo Rimis di amôr, poesie della scrittrice anticonformista del Cinquecento Gaspara Stampa, e Poesiis di Emily Dickinson, libretti pubblicati entrambi da La Nuova Base.
Come critico letterario, Maria Tore ha scritto molti saggi e articoli e non ha esitato a valutare con severità una icona di friulanità come Carlo Sgorlon, affermando che le sue figure di donna sono o massaie senza personalità o giovani e belle dai nomi esotici o floreali ma sempre “in funzione dell’uomo”. Secondo il suo giudizio, “i romanzi di Sgorlon contribuiscono a mantenere idee antiquate sulle donne e ne diffondono un’immagine stereotipa e falsa”.
Assieme ad Andreina Nicoloso Ciceri, Maria Tore Barbina ha valorizzato la nuova letteratura femminile in un lavoro a quattro mani: Scrittrici contemporanee in Friuli (Rebellato, 1984). Ha anche scritto per il teatro il testo Un rap di ùe (Un grappolo d’uva), rappresentato a Udine e Milano nel 1985 dalla compagnia Gruppo della Loggia.
In campo lessicografico, Maria Tore ha pubblicato nel 1980 un Dizionario pratico e illustrato Italiano- Friulano, seguito nel 1991 da un più impegnativo Vocabolario della lingua friulana. Italiano-Friulano di ben ventunomila lemmi (con grafia della Società filologica friulana, non essendo all’epoca in vigore la scrittura normalizzata).
Non secondaria è stata la sua produzione poetica, sia in italiano che in friulano. Citiamo in proposito Oltre il silenzio, ed. Dars Udine 2001 e D’amore e d’altro poco, ed. Bastogi Foggia 2002.
Nel 2007, anno in cui è venuta a mancare, è uscita con l’editore Campanotto la raccolta Cjantant l’amôr in rimis. Madrigai (Cantando l’amore in rime. Madrigali), che può essere considerata una invenzione, nel doppio senso della parola che esprime sia il ritrovamento sia la creazione. Il contenuto e la cura stilistica e metrica dei cinquanta componimenti sembrano appartenere ad autori del Cinquecento, come ha rilevato nella presentazione Gianfranco D’Aronco.
Si tratta di dichiarazioni d’amore pure e garbate, che mostrano la riverenza dovuta dalla dama. Nella seconda parte dedicata ai Madrigali scortesi, invece, erompe un’altra faccia dell’amore, con sfoghi femminili fortemente ironici. Maria Tore Barbina riesce a dimostrare che la lingua friulana è capace di esprimere ogni concetto anche complesso, ogni passione profonda, ogni sfumatura psicologica.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto