Marco Pacini racconta il futuro della Terra: un pianeta sempre più sull’orlo del baratro

Il libro parla della transizione ecologica e del digitale: sono metamorfosi che comportano rischi

Mario Brandolin
Un’immagine fortemente simbolica il futuro del pianeta Terra è ancora nelle mani dell’uomo
Un’immagine fortemente simbolica il futuro del pianeta Terra è ancora nelle mani dell’uomo

UDINE. Zona critica. Esercizi di futuro tra ecologia e tecnologia è l’ultimo libro del giornalista e saggista Marco Pacini, da poco edito da Meltemi. Già nei due saggi precedenti Epocalisse, Appunti di un cronista pessimista del 2018, e Pensare la fine.

Discorso pubblico e crisi climatica del 2020 (Premio speciale della giuria del Premio Parco Nazionale della Maiella per letteratura e saggistica dedicati all’ambiente), Pacini aveva affrontato le derive della contemporaneità quelle che mettono fortemente a rischio il futuro dell’umanità e del pianeta.

In questo nuovo lavoro la narrazione, al solito documentatissima e la critica originale e puntuale, si fanno ancora se possibile più pessimistiche e allarmate, focalizzandosi su alcuni aspetti che rendono più plausibile l’idea di un collasso del nostro mondo prossimo venturo, in particolare sul cortocircuito sfuggente e perciò pericoloso tra urgenze ambientali e sviluppi imprevedibili della tecnologia.

Perché prima ancora di cominciare a pensare a possibili soluzioni, quello che Pacini fa in questo volume è una sorta di “disboscamento del terreno” da quelle cose che ci impediscono la comprensione piena della situazione. Con un’analisi molto incisiva e per certi versi sorprendente della condizione sull’orlo del baratro, la Zona critica del titolo, che oggi l’Homo Sapiens si trova a condividere, spesso a sua insaputa, anche con gli altri organismi viventi e non; e con la descrizione dei meccanismi di disinformazione o rimozione o manipolazione che ci nascondono la realtà per come è.

Quello che stiamo vivendo, sostiene l’autore, è un “varco epocale: all’incrocio tra una crisi che è ecologico-climatica indubitabile e più accelerata di quanto si sospettasse fino a qualche tempo fa e dall’altro stiamo vivendo una crisi con questi meccanismi di delega.”

Da un lato dice Pacini citando il filosofo sloveno Slavoj Žižek contro i negazionismi ancora così duri a morire, “il sistema capitalistico globale si sta avvicinando a un apocalittico punto zero, grazie all’imperversare dei suoi ‘quattro cavalieri dell’apocalisse’ (la crisi ecologica, le conseguenze della rivoluzione biogenetica, gli squilibri all’interno del sistema stesso e la crescita esplosiva delle divisioni ed esclusioni sociali’)”.

Dall’altro, pur non negando l’importanza della tecnologia, ne evidenzia i pericoli in quanto “oggi il il progresso tecnologico, quello che ho sintetizzato nel neuro-tecno-capitalismo, un capitalismo estrattivo-oligopolistico vorace al punto da far impallidire quello industriale, è improntato all’inevitabilismo: una ideologia tecnoevangelista come la chiamo io, con la tecnologia diventata quasi una religione all’insegna dell’inevitabile, quasi fosse il Fato che tutto decide. Con l’ipermodernità del progresso che si allaccia e visioni mitiche, religiose, ecc. Con pericolosi passi indietro, ben rappresentatati dai varii sovranismi, negazionismi, populismi…”.

Zona critica tenta di incrociare queste due dimensioni che erroneamente chiamiamo transizioni-ecologica e digitale- che dovrebbero portarci alla salvezza, mentre invece invece “sono delle autentiche metamorfosi di noi umani, con la tecnologia che si è presa le coscienze e il cervello e l’ambiente sempre più degradato.”

Per questo difficili da combattere. “Perché – continua Pacini rifacendosi al sociologo e filosofo francese Bruno Latour – la vera apocalisse, la vera epifania l’abbiamo raggiunta con la modernità, con il progresso che ha riscattato milioni di persone, per cui è arduo pensare il futuro al di fuori di questa logica”.

Una situazione complessissima. Anche perché sostenuta da una “mancanza di direzione e progettualità, che hanno fatto posto all’imperativo e all’ebbrezza dell’’innovazione purchessia: veloce, cumulativa, inevitabile, spesso tossica”. E aggiungerei anche dalla mancanza di un pensiero critico, di un’intellettualità autentica che riesca a vedere “oltre” il presente e non si svilisca, come accade oggi nella mediocrità del dibattito/cicaleccio dei talk televisivi.

Anche se “in questo deserto uno dei pochi leader globali a comprendere la natura sistemica della crisi eco-climatica, nelle sue connessioni con l’ideologia tecno-soluzionista e un “credo” economico fonte di iniquità e devastazione, è il papa. La sua Laudato sì è considerata letta e studiata come uno dei testi fondamentali per una filosofia dell’antropocene.

Quelle di Francesco non sono tanto parole del capo di una delle più numerose confessioni del mondo, ma le parole di un intellettuale, di un pensatore che ha una capacità di lettura del mondo e dell’attualità più stretta, prendendone le distanze, e guardandole da un punto di vista più alto.

“Solo distanziandoci dall’immanenza e invadenza del presente possiamo cominciare a comprendere”.

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