Lo sguardo ipnotico di Zhora: «Blade Runner mi ha regalato la fama»
Joanna Cassidy ha interpretato il film di Ridley Scott con Harrison Ford: «Una grande intesa». L’attrice sarà oggi alle 21.30 al Giardino Loris Fortuna e domani all’Arena estiva di Pordenone

Ipnotico è lo sguardo azzurro e lo charme sta ai massimi. Gli over settanta dell’iconica attrice Joanna Cassidy si posano con nonchalance su un corpo longilineo e su un volto di una straordinaria naturalezza. L’indimenticata Zhora di “Blade Runner”, il cult di Ridley Scott con Harrison Ford del 1982, si fa trovare sorridente e accogliente nella tenuta del regista Ferdinando Vicentini Orgnani, a un passo da Spilimbergo. Sono complici l’amicizia fra i due sbocciata con il docu-film su Lawrence Ferlinghetti —“The Beat Bomb” — e l’invito del Visionario di Udine (oggi, giovedì 13, alle 21.30, al Giardino Loris Fortuna) e di Cinemazero di Pordenone (domani, alle 21.30, all’Arena estiva). In proiezione ci sarà il film diventato ormai una sorta di Sacro Graal della cinematografia universale.
L’Italia è un Paese che ama, Joanna?
«Eccome no. Ho parecchi ricordi belli legati ovviamente all’arte: un film horror del 1975, firmato da Massimo Dallamano, “Il medaglione insanguinato”, e una pellicola con molti ciak a Roma e a Perugia, “Dangerous Beauty” del 1998. E adesso toccherà al Friuli che conto di conoscere in questi giorni».
Di fare l’attrice non ci pensava proprio, semmai avrebbe preferito la pittrice. E poi?
«Mi piaceva dipingere, sì. Da New York, con mio marito medico, volai a San Francisco e in California diventai mamma. Una cacciatrice di talenti mi propose di provare col cinema, ma io le risposi di no. Nel frattempo rimasi da sola con i bambini e non avevo neppure un vero lavoro e la chiamai. Girai qualche scena in un’opera con protagonista Walter Matthau e mi lanciai in quel mondo per nulla sognato fino a quel momento».
Che fortuna debuttare con un grandissimo interprete della commedia americana come Matthau.
«Un vero gentiluomo. Ogni sua battuta era perfetta».
Finché lei si ritrovò nel meccanismo di “Blade Runner”, il film dei film.
«Questo personaggio — Zhora, appunto — era stato immaginato avvolto da un pitone e io un serpente ce l’avevo davvero in casa. Piaceva ai ragazzi e lo acquistai. E mi fecero conoscere Ridley Scott. Alle volte è soltanto una questione di incroci fortunati».
La scena di nudo la imbarazzò?
«I miei genitori non furono felicissimi di vedermi, ma nulla di preoccupante».
Sul set ebbe la percezione di stare dentro una storia che avrebbe fatto epoca?
«Non era difficile da ipotizzare in realtà, talmente potente appariva la situazione di un futuro pazzesco e, al tempo stesso, non prevedibile, ma vivendolo tutti i giorni cominciammo a capire la forza di quella immaginazione».
La fantascienza l’appassiona?
«Amavo tantissimo i libri di una certa collana talmente visionari da rendermeli meravigliosi. Compreso “Il cacciatori di androidi” di Philip K.Dick, del 1968, che mi conquistò».
Non crede che il cinema tenda a rendere il domani più fantasmagorico di quel che poi si rivela veramente? Di macchine che volano, per ora, nessuna traccia.
«I registi e gli sceneggiatori devono calcare la mano per creare qualcosa di talmente impressionate da restare a lungo nella mente degli spettatori».
Però l’intelligenza artificiale incombe. I “suoi” replicanti potrebbero diventare reali. Teme questo?
«Non lo nego, sono spaventata. E se i robot decidessero di non volere più umani tra i piedi? Ipotesi possibile. Osservando “Mad Max”, un altro caso piuttosto visionario, si vede come gli uomini si ritirino nelle caverne per sfuggire a un nuova esistenza. Un ritorno alla preistoria».
Zhora rincorsa da Rick Deckard, una scena diventata un’opera d’arte. Ce la racconta?
«Mentre correvo stringevo in mano il pulsante che avrebbe fatto scattare l’esplosione di sangue sul mio corpo trafitto dalle pallottole del poliziotto. Mi fu richiesta una precisione pazzesca e pure in volo, come se fosse semplice. Provammo tante volte la simulazione finché mi toccò fare sul serio e avevo un solo ciak. Mentre stavo sospesa in aria schiacciai il bottone nell’attimo perfetto e Ridley mi lanciò un ok».
Harrison Ford?
«Una grande intesa. Lui disse a Scott che non avrebbe mai sparato alla schiena di una donna, che quella decisione l’avrebbe danneggiato come attore. Niente da fare, fu costretto a eseguire».
Le posso chiedere quante volte è morta in scena nella sua carriera?
«Sedici, credo sia un record».
La sua vita dopo “Blade Runner”?
«In discesa, ovviamente. Quel film mi ha donato la fama».
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