Lezioni di Storia, Canfora: «Il Partenone non era luogo di culto ma la cassaforte dell’impero ateniense»
Lo storico ospite domani del primo appuntamento al Nuovo: «In nessuna parte del mondo c’è una democrazia compiuta»

Non poteva esserci inizio più appropriato per il ciclo di Lezioni di Storia dedicato alle Opere dell’uomo di quello che il classicista Luciano Canfora, professore emerito dell’Università di Bari, terrà domani, domenica 22, al Giovanni da Udine alle 11 con la sua Lezione su il Partenone di Atene.
Da oltre duemila anni Atene è per tutto l’Occidente la culla della democrazia e di quello strepitoso fiorire di arte architettura filosofia teatro storia e letteratura, riferimenti obbligati con cui ancora oggi continuiamo a confrontarci.
E il Partenone rappresenta il simbolo di tutto questo. Ma sentiamo il professor Canfora.
«Vorrei partire dalla coda, cioè dalla rapina fatta dagli inglesi a fine ’800 quando si sono portati a Londra i marmi, le sculture le metope del Partenone, col benestare del governo turco dal momento che all’epoca la Grecia era sotto la Turchia. Rapina di cui ancora oggi si discute ed è di qualche giorno la notizia che forse forse il British Museum potrebbe imprestare per un po’ di tempo alla Grecia quei reperti preziosi. Un episodio vergognoso che sta a significare quanto importante sia stato culturalmente e politicamente quel monumento».
Perché?
«Al di là dei valori artistici che sono fondamentali, c’è un significato politico profondo. Cioè per Pericle, che portò a compimento la costruzione del Partenone affidandolo al grande architetto e scultore Fidia, autore anche dell’imponente statua di Atena che si ergeva nel Partenone, quello era il luogo dove stava il tesoro della Lega delio-attica, le risorse economiche dell’impero ateniese. Non era un luogo di culto, era un luogo politicamente ed economicamente significativo. La democrazia ateniese era una democrazia imperiale che si fondava sulla sottomissione degli alleati i quali pagavano un tributo che andava a finire nel Partenone».
Nel suo libro Il mondo di Atene ridimensiona l’idea che ci siamo fatti o ci hanno inculcato sulla grandezza della democrazia ateniese.
«Non è una novità, l’avevano già denunciato altri studiosi molto più importanti di me, Max Weber, Alexis de Tocqueville; la tradizione degli studi non è mai stata così retorica né abbagliata, quello è un modo un po’ scolastico di semplificare le cose. Indubbiamente però il funzionamento dell’assemblea popolare ad Atene è un esempio concreto di sovranità popolare, ma di una comunità piccolissima di qualche migliaio di abitanti, e ancora meno frequentanti l’assemblea. C’è, questo sì, un elemento ovviamente ricco di futuro e poi c’è una verità storica».
E la verità storica è che quella democrazia non era così compiuta.
«Ma io credo che non esista in nessuna parte al mondo, in nessuna epoca storica una democrazia compiuta. È un tentativo, un’idea, una forza, un’aspirazione, ma subisce molte limitazioni, dal potere finanziario, dalle lobbies, dalla dipendenza dai poteri internazionali. Noi siamo in grado di decidere la nostra economia la nostra politica estera? Certamente no, perché siamo legati a strutture molto vincolanti e quindi la democrazia subisce limiti, sempre».
Venendo al nostro oggi, molti si chiedono perché in un Paese come il nostro che ha patito grandemente la dittatura fascista, si sia scelto un governo decisamente di destra?
«Perché la sinistra non c’è più: molto semplice».
Non c’è, come si dice, anche questa propensione dell’Italiano ad aver bisogno dell’uomo forte, solo al comando?
«Direi che l’idea che un capo risolva i problemi non è peculiare dell’italiano medio, anche perché dopo un po’ l’italiano medio perde la pazienza e lo caccia, diciamo che non siamo ammalati gravi. Anche perché la tradizione dei sistemi parlamentari è una tradizione molto fragile, non ci dobbiamo flagellare».
C’è un qualche fondamento nei timori di chi teme da questo compagine governativa derive antidemocratiche.
«Non si metteranno il fez in testa o useranno l’olio di ricino. Ne tenteranno di abrogare quei meccanismi democratici che invece il fascismo storico aveva cancellato sognando strutture statali di tipo dittatoriale. Non ce n’è bisogno: i risultati di carattere retrivo che desiderano, si ottengono anche facendo funzionare un parlamento che oramai non conta più nulla».
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