L’enigma della Pisana, l’eroina del Nievo dai mille volti

Ci sono personaggi che non s’accontentano. Troppo carismatici per restare tra le pagine in cui l’autore li ha creati, mossi, fissati. Troppo affascinanti, veri, vivi, oltrepassano la copertina ed entrano per sempre nell’immaginario. Così è per la Pisana di Ippolito Nievo. Se nel racconto “Le maghe di Grado” l’autore sperimentava il potere fascinoso delle creature femminili, ne “Le confessioni di un italiano” crea la più incantatrice e maga di tutte le maghe. Sfuggente come la vita, spiazzante come l’innamoramento, disarmante come la passione, donna che da più di due secoli ama e seduce.
Ora, un libro prezioso (presentato in anteprima in un convegno nieviano, tenutosi accanto ai resti del castello di Fratta, ambientazione del romanzo) svela “La Pisana. L’eroina italiana dai mille volti” (Gaspari editore). Sette gli autori dei saggi che s’interrogano sul suo mistero.
Paolo Gaspari invita scuola e cultura a riscoprire le donne del Risorgimento. Pisana «non arretra, combatte, vive generosamente», è «modello per la trasmissione dell’identità italiana al femminile». Per Ugo M. Olivieri la sua giovinezza coincide con l’età napoleonica, similmente scandite da speranze e contraddizioni, fino alla morte della donna che pare conciliare individualità e collettività. Con le sue scelte ha dato «la possibilità al romanzo di continuare a espandersi»: generosa in amore e verso la trama, narrata dall’innamorato Carlino. È lei a incarnare la modernità, «il superamento della Restaurazione», afferma Aldo Accardo, ritraendola «sempre fedele a se stessa», donna reale, nobilitata dall’amore per la patria. Ha una precorritrice, che Mariarosa Santiloni individua in Morosina Valiner, personaggio del romanzo di Nievo “Angelo di bontà”. Paolo Medeossi rievoca la scena notturna «vissuta da bambini, consci del fuoco accesosi per la prima volta mentre i corpi si sfioravano e si toccavano»: eros e amore come scoperta dell’altro nel candore dell’infanzia. È la Pisana il capolavoro del Nievo in un’opera postuma «di mancata rifinitura», perché «il romanzo si avvicina al significato stesso della vita, che non è mai levigata, arrotondata al punto giusto, corretta e precisa».
Se la figura racchiude le donne che il giovane Ippolito ha conosciuto, il nome rimanda a una fanciulla udinese, frequentata da bambina, moglie di Luigi Chiozza, morta di parto nel 1858 mentre Nievo scriveva “Le confessioni” e seppellita nel cimitero di San Vito a Udine. È Pisana di Prampero, raccontata da Medeossi che ha anche il merito di aver scovato alcune perle: il testo di Luigi Ciceri, stampato da “Il tesaur” in 250 copie nel ’49, di cui si pubblica un estratto nel volume di saggi, i dipinti di Marzio Carletti ispirati a “Le confessioni” e i disegni di Giuseppe Zigaina del ’58 per l’edizione tedesca del romanzo, conservati alla biblioteca Joppi di Udine. A questi si aggiungono opere di Sergio Altieri, Tonino Cragnolini, Arturo Martini, Giuseppe Porcheddu, Virgilio Tramontin e Gustavino (con biografie di Nicoletta Benvenuti).
Donna anticonformista, di capricci e inganni. Amorale e onesta, tiranna e generosa, devota e vera, bambina e amante, troppo sincera o bugiarda, legata indissolubilmente a Carlino. Lui sole, costante, lei luna, mutevole: corpi celesti che si cercano eternamente. Fugace ma pronta a elemosinare per lui, a succhiargli la ferita, a cederlo a un’altra donna, ad attenderlo oltre la morte dopo essergli fuggita una vita. Ha ancora molto da dire la Pisana. È lei a confessarlo ne “Le confessioni”: «Ho tutta l’anima sulla punta della lingua». —
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