La strana coppia Ingrassia-Guidi: per farvi sorridere siamo Oscar e Felix

In scena la famosa commedia di Neil Simon. Venerdì a Zoppola, sabato ad Artegna

Gian Paolo Polesini

Nemmeno un graffio in quasi 60 anni: la commedia è integra, si potrebbe dire ancora in garanzia, sebbene dalla metà del Novecento agli anni Venti del Duemila quasi tutto ha subìto stravolgimenti, ma “La strana coppia” di Neil Simon continua a conservare la freschezza di allora, le battute per nulla scadute, l’atmosfera frizzante, il senso del teatro.

«Io e Gianluca Guidi – spiega Giampiero Ingrassia – non apparteniamo a un duo istituzionale, ma si contano ormai sette collaborazioni, quindi il ritrovarci su un palcoscenico è stato naturale. Abbiamo risposto alla chiamata del produttore e non ci è parso vero di festeggiare per una ritrovata collaborazione e con un testo storico, fra l’altro».

La navigazione della compagnia attraverso l’Italia contempla tre attracchi in regione, a cura dell’Ert: venerdì, alle 20.45, al teatro Comunale di Zoppola, sabato, 20.45, al teatro Lavaroni di Artegna e domenica al teatro Verdi di Muggia, alle 17.30 La regia è dello stesso Gianluca Guidi.

Anche voi, in realtà, siete una strana coppia di figli d’arte.

«C’è un buon fluido che continua a farci incontrare. Investire nella premiata ditta Guidi-Ingrassia favorisce la creatività. In più entrambi abbiamo adorato “La strana coppia” nelle varie edizioni, a cominciare dall’indimenticabile film con Walter Matthau e Jack Lemmon».

Altri italiani vi hanno preceduto. In questo caso che regola vale?

«Di far bene senza voltarsi indietro. Grandissimi attori hanno provato a diventare leggenda con un testo leggendario. I primi italiani, dopo il successo della comedy a Broadway nel 1965, sono stati Renato Rascel e Walter Chiari. Più recentemente si sono visti Lopez e Solenghi. Ognuno di loro ha plasmato Oscar e Felix secondo le proprie attitudini».

A proposito, lei è Oscar o Felix?

«Una sera io e Gianluca parlammo a proposito dei ruoli. Lui mi chiese: “Tu chi vorresti essere?” Gli risposi: “Il regista sei tu, per me non ci sono problemi”. Oscar è quello disordinato e l’altro il precisino. Guidi mi fece capire che avrebbe preferito Oscar e io ben contento divenni Felix. Replica dopo replica ci rendemmo conto della scelta azzeccata».

Quindi un po’ Lemmon si sente?

«Per carità. Lasciamo stare le vere star. Io faccio Felix come Ingrassia sa fare. Guai se guardassi ai mostri sacri, ne uscirebbe una pessima imitazione».

New York anni 60: due divorziati, diversissimi fra loro, condividono un appartamento, scontrandosi con le solite incognite del quotidiano. Avete lasciato l’opera nella sua antica naturalezza?

«Sulla locandina c’è l’aggiunta di un “Revival” sotto il titolo, appunto per sostenere l’operazione nostalgia. Qualche intervento qui e là, ma l’anima dello spettacolo è rimasta intatta».

Ecco, niente telefonini, dunque.

«Nemmeno per sogno. Anche perché quando tutti cercano Felix all’inizio della pièce basterebbe uno squillo di cellulare per rintracciarlo, invece il ritardo dell’amico crea una sospensione utile alla vicenda. Siamo nel 1965, punto».

Qual è il conservante che ha tenuto in salute un testo scritto per un’altra generazione e perfetto per questa?

«Tematiche con zero usura: l’amicizia, il divorzio, le nevrosi, la convivenza. Sono storie senza scadenza. Col vantaggio dello spettatore di poter comparare i sentimenti odierni con quelli di un’epoca completamente diversa. E si continua a ridere e a pensare».

Lei dal palco intravede gioventù in platea?

«C’è un buon numero di ragazzi che si avvicina alla prosa. Per altri non intravedo grande speranza. Pensi che uno, tempo fa, mi chiese: “Non ci sono foto o video di Niccolò Paganini”? Capisce?».

Con suo padre Ciccio ha mai recitato?

«In una scena di “Classe di ferro”, il telefilm di Italia 1. Allora la serie ebbe un successo pazzesco, che seguì quello de “I ragazzi della terza C”. Presi il posto di papà in “Grand Hotel” perché lui fu operato d’urgenza per un’occlusione intestinale e Franco Franchi pensò a me. Io, fra l’altro, ero fresco di diploma all’Accademia di Gigi Proietti e fui lanciato subito in un mondo affascinante».

Sono 40 anni di carriera. Al futuro ci pensa?

«Spero di avere sempre l’energia per essere un buon raccontastorie. Tutto qui».

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