La Panarie, cento anni di Friuli fra arte e cultura

UDINE. A Udine, già Capitale della guerra e per il piagato Friuli anche del dopoguerra, nei primi giorni del 1924 vide la luce il “La Panarie. Rivista friulana d’arte e di coltura”, fondata e diretta da Chino Ermacora.
“La panarie – leggiamo sulla prima pagina – è, com’è noto, il mobile vetusto che ogni casa possiede, nel quale da tempo immemorabile si conserva il pane buono e la farina odorosa, e dal quale emana la dolce poesia della mensa, cui s’aggiunge quella intima del focolare, centro della famiglia.
Allo stesso modo, per una analogia spirituale, ne “La Panarie” un gruppo di giovani artisti e di studiosi, ai quali faranno eletta corona gli scrittori friulani, s’accingono ad illustrare con modernità d’intenti i problemi regionali e gli aspetti dell’attività friulana in tutti i campi: dall’artistico al letterario, dall’industriale allo scientifico, dal commerciale all’agricolo.”
Due gli scopi dell'Ermacora: riaccendere la fiamma della cultura sul focolare friulano, devastato dalla guerra e dal desolante dopoguerra, per far meglio conoscere il volto più nobile del Friuli agli stessi friulani e agli altri italiani.
La rivista promise “un biel regalùt” a coloro che si fossero abbonati entro febbraio: una “panarie” di legno, prodotta dai Fantoni di Gemona su disegno del pittore Johannes Napoleone Pellis.
Quel “regalùt” e altre iniziative di quell’anno, come l’edizione in trecento copie numerate di tre canzoni friulane scritte e musicate dal dottor Antonio Pozzo, illustrate con cinque xilografie a colori del pittore Luigi Bront, dimostrano l’innovativa angolatura culturale dell’Ermacora e le sue capacità di coinvolgimento nel coniugare modernità e tradizione.
“La Panarie” fu, infatti, un cenacolo frequentato da Marinelli e Gortani, Someda de Marco e Leicht, Ellero e Chiurlo, da Osimo e Bujatti, Berlam e Marin, Fruch e Angeli, Tessitori e Pasolini ...: il Gotha friulano della prima metà del Novecento.
Sul sesto e ultimo numero del 1924 Ermacora scrisse: “La Panarie, in questo suo primo anno di vita, è stata salutata ovunque – in Friuli, nelle altre regioni d’Italia e all’estero, – come un’amica di cui non si sospettava la comparsa, ma di cui pur tuttavia si avvertiva celatamente il bisogno.
Essa ha recato ai friulani voci dolci e visioni serene della terra natìa; ai non friulani, che qui furono in armi, ha suscitato in folla i ricordi della recente guerra, ed a tutti ha rivelato, sia pure in piccola parte, le bellezze naturali ed i tesori d’arte di una fra le più importanti e caratteristiche regioni italiane. (…) nel prossimo anno La Panarie sarà notevolmente migliorata, raddoppierà la tiratura e raggiungerà tutti i più piccoli centri del Friuli, le più popolose colonie friulane d’Oltralpe e d’Oltremare (…)”.
Sono parole che rivelano la visione “globale” della friulanità, trapiantata dall'emigrazione in tutto il pianeta, e prefigurano l'Ente Friuli nel Mondo da Lui fondato nel 1953.
Fra i meriti dell'Ermacora, considerato a torto passatista e troppo devoto a Bacco, è doveroso ricordare l'uso sapiente delle immagini fotografiche, sempre attribuite ai loro autori: facile immaginare il contributo in tal modo fornito ai futuri storici della fotografia.
E come dimenticare il legame con D'Annunzio e l'anticipazione, nel 1934, del romanzo del cecoslovacco Viktor Hanek sulla fine della grande guerra?
Meritano attenzione anche le Edizioni de “La Panarie”, come ad esempio la pubblicazione della raccolta d'esordio di Siro Angeli, “Il fiume va”, nel 1937, e il primo libro sulla Resistenza, “La Patria era sui monti”, apparso nel dicembre del 1945.
Non ebbe vita facile “La Panarie” sotto il profilo finanziario, e nel 1936 dovette sospendere le uscite, che fortunatamente ripresero nel triennio 1937-1940.
Dopo la guerra la rivista riapparve nel 1949, ma uscirono soltanto tre numeri, che fecero salire il totale a novantasette: un vero, autentico “tesaur” di storia, d’arte, di folclore, di poesia, di bellezza.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto