La notte dei benandanti friulani, l’eterna lotta tra il bene e il male

Paolo Paron racconta in due romanzi la saga di una particolare famiglia della Pedemontana

Martina Delpiccolo

Celeborn, il signore elfico della stirpe dei Sindar appartenente alla Casa di Elwe nell’universo dello scrittore inglese Tolkien, padre de “Il signore degli anelli”, lancia il monito: «Ma non disprezzare i racconti tramandati per lunghi anni; potrebbe darsi che le nonne rammentino alcune cose, che in passato i saggi era bene conoscessero».

In queste parole è racchiuso lo spirito che muove la ricerca e la scrittura del friulano Paolo Paron, fondatore della Società Tolkieniana Italiana e affamato di storie, come lui stesso ci racconta: «Fin da ragazzo ho cominciato ad intervistare le persone anziane, a raccogliere le loro testimonianze, facendomi narrare le leggende, le storie, i racconti della loro infanzia. Mia passione da sempre. Da questo impegno di raccolta e recupero, che ormai dura già da oltre quarant’anni, è nato poi l’amore per la divulgazione».

Prende così vita, tra vari lavori, dapprima il fumetto del vecchio canuto e saggio benandante Cristoforo di Cerneglons con l’illustratore Francesco Bisaro, in quattro episodi in lingua italiana e friulana, e poi i due romanzi che l’autore indica come due volumi di uno stesso titolo La Notte dei Benandanti, editi da L’Arco e la Corte.

Leggiamo nell’appendice del primo volume: «I benandanti, uomini o donne, riconosciuti come prescelti perché nati con la camicia, combattevano contro streghe e stregoni nelle notti delle Quattro Tempora: erano in grado di sciogliere le fatture ed il malocchio che le streghe ordivano, guarivano bambini ed armenti dalle malattie che venivano loro inflitte da questi esseri maligni, parlavano con i morti e riportavano i loro consigli ai vivi che li avevano richiesti».

La saga si snoda nella seconda metà del ‘900, attorno ai nati con la camicia, ossia ancora avvolti nel sacco amniotico, in una famiglia friulana di un piccolo paese della pedemontana. Protagonisti il benandante Pietro e la guaritrice ed esperta di piante Clorinda, in una storia che è l’eterna lotta tra il bene e il male a colpi di battaglie notturne per contrastare le malie, le cattiverie, gli incanti e «per il bene delle biave», mentre il lettore riscopre gesti e formule segrete della magia popolare.

Formule impartite, nel secondo volume, al giovane Yannick, figlio di “un garou” e di “una benandante”, nato con poteri misteriosi e sconosciuti dagli stessi benandanti, destinato ad essere introdotto nel mondo dell’Altrove, in una scrittura che si connota anche come romanzo di formazione. Se nel primo volume incontriamo il benandante mentre alza il suo grosso e nodoso bastone, simile a quello che tanti stregoni avevano steso nelle notti delle Quattro Tempora, nel secondo volume ascoltiamo il canto dei benandanti accompagnato dal ritmo del bastone che batte la terra: «Scjaraçule Maraçule / la lusigne e la cracule, / la piçule si niçule / di polvar a si tacule» (Bastone e finocchio / la lucciola e la raganella, la piccola si dondola / e di polvere si macchia). E il pensiero va al capolavoro di Carlo Ginzburg.

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