La lettera uccide Carlo Ginzburg e il passato che sorprende
Lo storico presenta il suo nuovo libro: «Una raccolta di saggi scritti in vent’anni»

Un invito, naturalmente colto, ad affiancare idee e ragionamenti quanto mai necessari per dare un ordine ai conflitti ideologici diffusi nel nostro tempo, arriva da uno studioso di gran fama, storico e saggista: Carlo Ginzburg.
Nel suo “La lettera uccide” (Adelphi) l’autore, con una particolare abitudine alle cattedre delle università americane di Yale, Harvard («più che l’insegnamento a Cambridge organizzai dei corsi», precisa) Princeton e soprattutto Ucla, si sofferma su certi dualismi del passato — Montaigne e Spinoza, Di Martino e Bloch, Paolo di Tarso e Agostino — per un confronto che inevitabilmente sfocia nelle urgenze contemporanee. «Dal passato risalgono tematiche che a volte sono pure capaci di sorprenderci o addirittura di spiazzarci», precisa Ginzburg, che nel 2023 vinse a Lignano il “Premio Hemingway” nella sezione l’Avventura del pensiero.
L’occasione per ascoltarlo in dialogo con Gian Paolo Gri è per domenica 15 giugno, alle 19.30 al cinema David, a cura del festival di Tolmezzo “Vie dei Libri”, in collaborazione con la Fondazione pordenonelegge.
“La Lettera uccide” è un esperimento mentale, una sorta di riflessione di metodo dove personaggi del passato — affascinante la vicenda di Jean-Pierre Purry — ci vengono in soccorso per meglio interpretare le contraddizioni della contemporaneità.
Professore, la complessità dell’opera richiede inevitabilmente la conoscenza di una genesi per meglio comprendere gli intrecci umani, biblici, storici, filosofici e di quant’altro questo libro contiene con ricchezza di avvenimenti.
«Semplicemente è una raccolta di saggi scritti in una ventina d’anni. Allora non immaginavo proprio di farne un volume, certo, che altresì prese forma in maniera quasi naturale. A questo punto si rendeva necessaria la creazione di alcuni fili conduttori per tenere saldi i vari principi esposti, e quello portante è legato al titolo “La lettera uccide e lo spirito dà vita” di San Paolo. Ma io la riformulo in “La lettera uccide chi non la conosce”. Vorrei però dire che tutto questo non è materiale rivolto agli specialisti, anche perché io per primo non lo sono».
Una frase colpisce tra mille righe: “Un popolo senza terra (ebrei) trova una terra senza popolo (Palestina)”, uno slogan sionista che offre spunti per argomentare il triste vissuto di questi mesi infausti.
«Devo dirle con sincerità che non condivido il motto del sionismo liberale. In questa lettura i Cananei venivano silenziosamente espunti dalla narrazione biblica, così come i palestinesi sono stati silenziosamente espunti dalla storia d’Israele. Al proposito consiglio di guardare il documentario “No Other Land” del 2024, che segue in particolare l’attivista palestinese Basel Adra e il giornalista israeliano Yuval Abraham».
C’è un suo rapporto intenso con il Friuli, che si manifesta in due opere ormai famose come “I Benandanti”, scritto nel 1966 e “Il formaggio e i vermi” del 1976.
«Un legame fortissimo. E sono pure cittadino onorario di Montereale Valtellina. Tutto questo è frutto del caso, un altro fil rouge del libro che presenterò a Tolmezzo. Arrivai alla vostra Terra esaminando degli studi sulla stregoneria come forma rozza di lotta di classe degli anni Cinquanta. Mi avvicinai ai processi d’Inquisizione a Modena affrontando un giro nelle biblioteche italiane arrivando a Udine, da Venezia. Menichino, il benandante di Latisana, fu un primo caso intrigante al quale si aggiunse il mugnaio Menocchio, arso vivo perché affermò che “il mondo nacque putrido”. Storie che raccontai persino ai giapponesi durante una conferenza con protagonista il Friuli».
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