La leggenda del jazz Abdullah Ibrahim: «Il Villaggio esiste ovunque noi siamo»

Il musicista sudafricano sarà domani al Palamostre di Udine. Nell’ultimo album racconta in musica la vita in una borgata

Elisa Russo

«Non mi definisco mai un musicista jazz, non so neanche cosa significhi»: Abdullah Ibrahim è considerato una leggenda del jazz, ma non ama sentirselo dire. La cosa migliore è lasciar parlare la musica: il pianista e compositore sudafricano, quasi novantenne, sarà ospite di Euritmica per la 17esima edizione della rassegna “Note Nuove” domani, martedì, alle 20.45 al Palamostre di Udine.

Se gli si chiede dell’Italia rivela una fissa per il capoluogo giuliano : «Quando ero un giovane musicista cresciuto a Città del Capo – racconta – immaginavo sempre la mia vita ben oltre gli imposti confini materiali. Passavo ore ad esercitarmi con il pianoforte e il resto immerso in letture ben selezionate nelle biblioteche pubbliche. Bene, un nome e una destinazione che continuava a saltar fuori era Trieste. Consultai i miei amici di una compagnia sudafricana che riproponeva in chiave black l’Opera italiana (La Traviata e altri lavori). “Trieste è in Italia – mi dissero – ed è la casa di James Joyce, leggi il suo Ulisse”. Insomma, il tempo tra i libri era proprio ben speso».

Ma non è finita qui. «Anni dopo – prosegue – tenni un concerto a Città del Capo e conobbi una giovane donna davvero notevole, impegnata in un programma medico. Scoprii che era di Trieste: la dottoressa Marina Umari. Per trent’anni è stata la mia compagna, parte della mia famiglia estesa, anche suo padre era stato pianista e compositore».

Abdullah Ibrahim (prima della conversione all’Islam noto come Dollar Brand), è uno dei pochi musicisti africani ad aver raggiunto un ruolo da protagonista nel jazz mondiale: il suo disco di esordio nel 1960 è stato il primo lp di jazz realizzato da artisti di colore nel suo paese. In seguito all’inasprirsi dell’apartheid e alle continue ingerenze governative nella vita dei musicisti, lascia il Sud Africa e si trasferisce a Zurigo. Duke Ellington assiste a una delle sue performance in trio, ne rimane talmente colpito da “sponsorizzarne” subito un’incisione discografica: “Duke Ellington Presents The Dollar Brand Trio” del 1963.

Ellington aveva visto giusto: nel giro di pochi anni Ibrahim raggiunge il top nel mondo del jazz. Nel 1965 si sposta a New York, dove collabora con Don Cherry, Ornette Coleman, John Coltrane, Pharoah Sanders, Cecil Taylor, Archie Shepp, Billy Higgins, Elvin Jones. In alcune occasioni sostituisce addirittura Ellington alla guida della sua orchestra. Da allora la sua carriera non ha conosciuto pause, con una sterminata discografia (oltre cento titoli): l’ultimo album “3” è uscito quest’anno: «Simboleggia la vita quotidiana in un villaggio tradizionale, con maestri, mentori e mistici. Il Villaggio – conclude Ibrahim – esiste ovunque siamo».

A Udine propone il concerto “Piano Solo”, dove corde, tasti e pedali raccontano un intreccio di storie: la storia del jazz, della contaminazione di musica africana e dei suoni di una New York vibrante e cosmopolita. E la storia personale: la sua vita toccata dall’apartheid, la passione per le arti marziali, per le filosofie zen e per i piccoli dettagli che rendono speciale ogni momento.

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto