La guerra del cugino scrittore: «No ai santuari per Pier Paolo»

Il poeta è critico verso certi eccessi celebrativi di questi giorni

CASARSA. «Non ne posso piú di queste cose qua!». Mi accoglie cosí Nico Naldini nel suo buen retiro di Treviso. Un incipit poco rassicurante per un’intervista sulle celebrazioni per il quarantennale della morte di Pasolini, viste da un osservatore speciale come lui che è sempre stato vicino al cugino Pier Paolo.

E alla richiesta del perché... «perché – si scalda – su Pasolini è in atto un’operazione che io direi il santuario dell’ignoranza e della superficialità, delle mezze verità che diventano per la strada delle vere e proprie bugie spesso dovute al narcisismo di chi deve parlare di Pasolini».

Ha in mente qualcosa di preciso, insisto? «Sí certo, basta guardarsi in giro. Mi limiterò a questo esempio: ieri l’altro durante una trasmissione tv, c’erano Ninetto Davoli, Dacia Maraini e Pietro Gelli. Ninetto va benissimo, fa il Ninetto e basta. Gelli invece incappa in due bugie o due gaffes. La prima quando dice che il Pci, dopo la morte di Pasolini, si era opposto a qualsiasi cerimonia funebre, mentre fu Giorgio Napolitano che convocò Maraini, Moravia, la Betti e me a Botteghe Oscure dicendoci che intendeva dare il massimo riconoscimento a Pasolini con delle esequie simili a quelle per Carlo Levi. E cosí fu, con tanto di alti dirigenti del partito a fare da guardia d’onore al feretro».

La seconda? «A proposito della pubblicazione di “Petrolio” che sostiene fu rifiutata da Garzanti, quando invece fu lo stesso Livio Garzanti, pochi giorni dopo il funerale a presentarsi a casa Pasolini intenzionato a portare con sé il manoscritto. Fui io a impedirlo con la scusa di affidarlo alle cure di un filologo, Aurelio Roncaglia. Einaudi arrivò quando i rapporti tra l’opera di Pasolini e la Garzanti si erano già sfilacciati. La Maraini poi dice di essere stata in India con Pasolini e Moravia, mentre la verità è che al suo posto c’era Elsa Morante».

Altri svarioni, lo interrompo? «Mi faccia andare avanti!».

Vada. «Pasolini in queste celebrazioni è stato avvolto in una specie di filo spinato. Ancora una volta. E non è una novità. Per vent’anni è stato al centro di calunnie le piú spaventose che avrebbero demolito un gigante, lui ha resistito grazie al suo atteggiamento di stoico che non dava peso e voleva continuare a lavorare».

E qui Naldini si accalora, ricordando le tante denunce avute da Pasolini, le falsità e le persecuzioni di cui è stato vittima. «E adesso siamo alla santificazione in quello, ripeto, che è il santuario dell’ignoranza e della superficialità, in cui Pasolini viene sempre collocato per un destino, misterioso. Ma andiamo avanti».

Ecco qualcuno, visto che si è mosso addirittura il Ministero del beni Culturali, dice che con questo quarantennale il potere, dalla coda di paglia come sempre, vuole mettersi la coscienza a posto nei confronti di Pasolini.

«No – taglia corto – il potere se ne frega, semplicemente i media hanno trovato che riproporre Pasolini, non importa come, era argomento giornalistico che tira. Io mi chiedo allora, quando ci sarà il centenario di Montale che faremo? Andremo su Marte per fare degne celebrazioni, visto che è il piú grande poeta italiano?».

Quest’anno, continuo, cascano gli anniversari di Moravia e Calvino, «e non se li fila nessuno – chiude Naldini –, perché quella di Pasolini è un’esistenza piena di arditezze, ardori e imprudenze, piú interessante, a esempio, di quella di Calvino, grandissima intelligenza, ma un poco noioso. Anche se a lui devo lo stimolo prima e la pubblicazione poi del mio “Vita di Giovanni Comisso”».

Allora grazie Calvino, visto che è uno dei capolavori della narrativa biografica del ‘900. «Andiamo avanti», taglia corto Naldini.

Il vero Pasolini? «Caratteristica fondamentale della sua personalità era l’ispirazione a essere maestro, sempre: non maestro che spezzava il pane del sapere, ma che faceva il pane, lo impastava e poi lo indagava insieme con i suoi alunni. Insieme negli anni friulani abbiamo lavorato ed elaborato una coscienza culturale moderna».

Ci sono stati momenti in cui l’ombra di Pier Paolo le ha dato fastidio? «Mai, sono gli altri che parlano di lui a darmi fastidio», risponde tranchant.

Oso troppo a chiederle un ricordo di voi insieme? «Dio mio – e allarga le braccia tra il serio e il faceto – io ho scritto un libro di 400 pagine, ne ho aggiunto uno di 200, per un totale di 600 pagine (i due volumi sulla vita di Pasolini, n.d.r.). Sono anche esaurito».

Chiedo ancora: cosa resterà di tutto questo bailamme attorno a Pasolini? «Purtroppo i bailamme lasciano un terreno sterile, come se una calamità naturale piombasse e inaridisse tutto quanto. Non penso che queste manifestazioni siano incentivo per i giovani a conoscere Pasolini. Vorrei essere smentito. Temo invece che questo porti a una sorta di assuefazione al suo nome e ancora una volta attenzione sugli aspetti piú esteriori della sua figura. Credo, inoltre, che tutto ciò sia basato sul sorvolare l’omosessualità che è il centro - lo ha detto lui - della sua vita e delle sue storie. Non l’omosessualità dell’odierno teatrino gay, bensí qualcosa di cui è impregnato l’intimo: è una concezione della vita che ha una sua base sessuale, in rapporti che si svolgono infinitamente, diventano la poesia di Archiloco, dei grandissimi poeti persiani... è un elemento dinamico che si colloca nel centro della personalità dell’individuo che si lascia affascinare dalla visione di un giovane, che di volta in volta è messaggero di un mondo di felicità irraggiungibile, deludente. Messaggero di realtà, non oggetto di consumo erotico».

Un’ultima immagine, Naldini. «Non un’immagine, ma un suono: l’urlo straziato da tragedia greca con cui Susanna accolse la notizia della morte del figlio piú amato».

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