La follia di voler chiudere in fretta la guerra Hiroshima e Nagasaki due risposte a Stalin

andrea ZANNINI
Nell’agosto del 1945 con le due bombe nucleari su Hiroshima e Nagasaki gli americani costrinsero i giapponesi alla resa. Ma c’era davvero bisogno di quelle bombe? Dopo tre quarti di secolo una risposta chiara ancora non c’è.
Dopo la resa del Reich, l’8 maggio, gli Alleati concentrarono i loro sforzi sul Pacifico, dove la battaglia cruciale per la conquista delle isole Okinawa stava volgendo a loro favore. Da mesi, peraltro, gli americani avevano applicato al Giappone la stessa strategia utilizzata per spezzare il regime hitleriano, i bombardamenti a tappeto sulle aree urbane: 67 grandi città erano state colpite con un numero imprecisato di vittime, il solo bombardamento di Tokio nel marzo 1945 aveva provocato qualcosa come 100 mila morti, tre volte quelli di Dresda.
Nel frattempo lo Stato maggiore Usa aggiornava i piani preparati da tempo per l’invasione delle isole nipponiche. Supportata dall’aviazione, che agiva ormai quasi incontrastata, l’operazione Downfall avrebbe però comportato perdite stimate in 100 mila morti tra gli Alleati. Oltre al coinvolgimento dei civili nella difesa, si prevedeva infatti il sacrificio totale delle forze armate giapponesi che avevano fatto proprio il Bushido, il codice d’onore samurai che vietava la resa, e facevano largo uso, a quanto sembra, di metamfetamine.
Nel luglio ’45 gli americani misero a punto la bomba atomica e a fine mese gli Alleati, dalla conferenza di Postdam, lanciarono con l’ultimatum al Giappone. Il Paese era allo stremo, le sue possibilità di riprendersi inesistenti ma nulla lasciava presagire che l’inavvicinabile corte imperiale avrebbe ceduto le armi.
Ma c’era un altro elemento. Come già stabilito, i sovietici sarebbero entrati nella guerra del Pacifico l’8 agosto, invadendo la Manciuria occupata dai giapponesi. Vi era la necessità, da parte americana, di chiudere il conflitto prima possibile senza dar modo, come era successo a Berlino, che Stalin risultasse determinante.
Così il 6 agosto, i 64 kg di uranio del “Ragazzino” (“Little Boy”, così gli americani soprannominarono macabramente la prima atomica della storia) furono sganciati sulla città portuale di Hiroshima, provocando nei primi giorni tra i 90 e 150 mila morti. I numeri sono incerti per la scomparsa dei cadaveri e di qualsiasi documentazione locale. Nelle confuse ore che seguirono, la notizia che non si era trattato del solito bombardamento incendiario americano faticò a raggiungere il governo giapponese e l’imperatore, in un Paese in cui le comunicazioni erano precarie.
Appena 72 ore dopo, il 9 agosto, un altro B-29 americano scaricò tuttavia sopra un’altra città portuale, Nagasaki, un’altra bomba atomica, questa volta al plutonio: il “Grassone” (“Fat Man”), che nonostante fosse più potente della prima provocò “solo” 40-80 mila morti. La città, infatti, era stata più volte bombardata e la sua popolazione in parte evacuata.
Le ricostruzioni della catena di comando che condusse al secondo attacco nucleare sono inquietanti. Il presidente Truman aveva dato un suo preventivo assenso all’uso dell’arma nucleare e assegnato a un apposito comitato la scelta del quando e del dove, e rimase stupito dal secondo attacco. La stessa scelta di Nagasaki sembra sia stata alla fine casuale, in una rosa di obiettivi tra i quali vi era anche Kyoto, la splendida città sacra.
Ma perché gli americani si precipitarono a sganciare la seconda bomba senza attendere che l’impressione generata dall’uso della nuova arma su Hiroshima facesse il suo effetto? E la decisione di sganciare la bomba su Nagasaki fu solo militare? O il governo americano lasciò che fossero i militari a fare il lavoro sporco, nella consapevolezza che a Mosca il messaggio sarebbe giunto forte e chiaro?
Se, come sembra, più che contro Hirohito la bomba su Nagasaki era diretta a Stalin allora si potrebbe dire che la “Guerra fredda”, che è terminata senza spargimenti di sangue, ebbe inizio con un attacco nucleare. Con il senno di poi, si potrebbe dire meglio così che il contrario, se non fosse per le centinaia di migliaia di sudditi del “Sovrano Celeste” che persero la vita. —
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