Jessye Norman, una magnetica regina della voce

Alberto Mattioli
Aveva, fra le molti doti, quella dell’immediata riconoscibilità. Bastavano due note. Quel timbro carnoso e scuro, di seta e di velluto, quella voce straripante di armonici potevano appartenere solo a Jessye Norman.
Uno dei più grandi soprani del Novecento è morto lunedì in un ospedale di New York, dopo anni di sofferenze per una lesione al midollo spinale.
Era nata nel 1945, in Georgia, nel Sud ancora segregazionista. Famiglia borghese: papà assicuratore, mamma pianista dilettante.
La vocazione, raccontò nell’autobiografia Stand up straight and sing! , le venne suonando l’harmonium nella casa dei nonni; il primo repertorio furono gli spiritual della sua gente, che poi continuò a cantare per tutta la vita.
Nel’69 debuttò a Berlino, Elisabetta in Tannhäuser, quando un nero in Wagner non era ancora abituale.
E fu subito carriera ai massimi livelli, anche in Italia: nel’71 Selika nell’Africaine con Muti al Maggio, nel’72 l’unica opera alla Scala, Aida, con Abbado.
A Milano tornò in concerto: l’ultimo finì con un’ora di applausi e cinque bis.
Intanto era diventata una regina del Met, un’ottantina di recite iniziate nel 1983 con una gloriosa Cassandre dei Troyens. Nel suo repertorio, Giocasta dell’Oedipus Rex, Ariadne, la Donna in Erwartung, Sieglinde, Kundry, Judit nel Castello di Barbablù.
Ma il suo Mozart era affascinante, i suoi Verdi (pochi) idem, la Didone di Purcell immensa.
In realtà era più una cantante da concerto che d’opera. Con la sua voce da mezzosoprano acuto (un Falcon, si sarebbe detto nell’800), la sua tecnica perfetta, la sua musicalità impeccabile serviva Strauss e Mahler, Schubert e Berg, Berlioz e Satie. Aveva carisma: una di quelle artiste che salgono in palcoscenico, anche solo in abito da sera, e magnetizzano sguardi ed emozioni. Maestosa, nel canto e nella presenza, trasformava ogni brano in qualcosa di epico e mitico. «Mon coeur s’ouvre à ta voix», il Liebestod, i Vier letze Lieder: qui la sua voce ti avvolgeva come liquido amniotico, ti faceva sprofondare in un’estasi primigenia, ipnotica, sconvolgente.
Le diedero cinque Grammy, la National Medal of Arts, la Legion d’onore: il 14 luglio 1989, bicentenario della Rivoluzione, cantò la Marsigliese in place de la Concorde, avvolta in un enorme Tricolore. Riascoltate il lamento di Didone, quei «Remember me» dove la felicità perduta, la nostalgia, il dolore, la vita e la morte di lei e di noi tutti sono trasfigurati nella bellezza. «Remember me»: sì, signora, ci può scommettere. –
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